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La matematica nell’educazione dei giovani

Socrate lamentava che la geometria solida si studiasse poco, che ci fossero pochi maestri e per giunta presuntuosi! Altri precetti didattici.

Nella Repubblica Platone affronta il problema di come formare i giovani.

Ne discutono Socrate e Glaucone cercando di individuare le discipline d’insegnamento che assolvono al meglio questa funzione.

La prima disciplina sulla quale Socrate e Glaucone concordano è quella che si occupa del numero e del calcolo: è l’aritmetica. È necessaria a tutti: al cittadino, al guerriero, al reggitore della città. La geometria viene subito dopo. Ovviamente non la geometria per scopi pratici, utile cioè a tracciare quadrilateri, prolungare linee, aggiungere figure e così via, ma la geometria coltivata solo per la conoscenza di ciò che eternamente è, non di ciò che nasce e perisce. Una disciplina che già limitata al piano non è facile da apprendere, ma che ha un naturale sviluppo nella geometria solida ancor più difficile senza l’aiuto di un maestro. E questo è un serio problema perché di maestri ce ne sono pochi e, in genere, sono anche presuntuosi.

In ogni caso è bene che l’insegnamento sia rivolto a chi non sia “zoppo nell’amore per la fatica, cioè laborioso soltanto a metà”. È anche bene che l’aritmetica, la geometria e tutta l’educazione propedeutica che precede la filosofia siano insegnate “sin dall’infanzia, senza però conferire all’insegnamento una forma costrittiva”. L’uomo libero, infatti, non deve imparare nulla con la costrizione, “perchè nessuna cognizione introdotta a forza nell’animo vi rimane”. Occorre quindi “non educare i fanciulli negli studi a forza, ma in forma di gioco”. In questo modo si sapranno individuare ancora meglio le propensioni naturali di ciascuno.

Nel dialogo Socrate e Glaucone fissano dunque alcuni precetti didattici che consegnano alla storia dell’insegnamento della matematica:

  • la matematica va insegnata agli individui dotati della natura migliore;
  • la matematica non si apprende senza sforzo;
  • non si apprende per forza;
  • non si apprende senza la viva voce di un maestro;
  • c’è bisogno di maestri disponibili.

Il Dialogo

«E quale sarà, Glaucone, la disciplina che trascina l’anima dal divenire all’essere? Mentre parlo mi viene in mente una cosa: non abbiamo detto che questi uomini devono sin da giovani essere atleti della guerra?» «Sì, l’abbiamo detto».
«Quindi la disciplina che cerchiamo deve mirare anche a questo».
«A che cosa?» «A non essere inutili ai guerrieri».
«Sì », rispose, «se è possibile».
«Prima noi li abbiamo educati nella ginnastica e nella musica».
«Proprio così », disse.
«E la ginnastica si occupa di ciò che nasce e perisce, in quanto sorveglia la crescita e il deperimento del corpo».
«Pare».
«Pertanto questa non può essere la disciplina che cerchiamo».
«No di certo».
«Forse allora è la musica, come l’abbiamo descritta prima?»

«Ma quella», obiettò, «se ti ricordi, era il corrispettivo della ginnastica: educava i guardiani con la forza delle abitudini, conferiva attraverso l’armonia il senso della proporzione, non una scienza, attraverso il ritmo l’eleganza, e conteneva nelle narrazioni, sia quelle mitiche sia quelle più veridiche, certi altri caratteri affini a questi; ma neppure in essa era presente una disciplina che guidasse a ciò che tu ora cerchi».
«Me lo stai rammentando con grande precisione», dissi; «sì, in realtà non conteneva nulla di simile. Ma allora quale sarà mai questa disciplina, esimio Glaucone? Le arti ci sono sembrate tutte quante vili…».
«Come no? Eppure quale altra disciplina rimane, tolte la musica, la ginnastica e le arti?» «Via», dissi, «se non abbiamo più null’altro da prendere, rivolgiamoci a una disciplina che abbia un’applicazione generale».
«Quale?» «Ad esempio quella disciplina comune di cui si servono tutte le arti, le opinioni intellettuali e le scienze, e che ognuno deve per forza imparare molto presto…» «Ossia?», domandò.
«Quella molto semplice», risposi, «che distingue l’uno, il due e il tre: insomma, sto parlando del numero e del calcolo. Non è forse vero che ogni arte e scienza è costretta a essere partecipe di queste nozioni?» «E come!», esclamò.
….
«Per tutte queste ragioni essa non va trascurata, ma dev’essere insegnata agli individui dotati della natura migliore».
«Come seconda vediamo se ci è utile quella che si connette ad essa».
«Quale?», domandò. «Intendi dire la geometria?» «Proprio questa», confermai.
«Per quanto attiene alla guerra», disse, «è chiaramente utile: corre molta differenza tra l’essere esperti o meno di geometria quando si tratta di porre l’accampamento, occupare postazioni, riunire e dispiegare le forze ed eseguire tutte le altre manovre militari in battaglia e in marcia».

«Ma per questo», obiettai, «può bastare anche una piccola parte di geometria e di calcolo. Bisogna invece esaminare se la parte maggiore e più progredita della geometria mira a far scorgere più facilmente l’idea del bene. A questo fine, diciamo, tendono tutte le discipline che costringono l’anima a volgersi verso quel luogo dove ha sede la parte più beata dell’essere, che ella deve in ogni modo contemplare».

«Hai ragione», disse.

«Pertanto, se la geometria costringe a contemplare l’essere è utile, se costringe a contemplare il divenire, no».

«D’accordo».

«Ora», proseguii, «chiunque sia anche solo un poco esperto di geometria non ci contesterà che questa scienza è tutto il contrario di come la descrivono coloro che la praticano».

«In che senso?», domandò.

«Essi ne parlano in modo davvero ridicolo e forzato: affermano di tracciare quadrilateri, prolungare linee, aggiungere figure e così via per scopi pratici, ai quali si rifanno in tutti i loro discorsi, mentre questa disciplina dev’essere interamente coltivata solo per la conoscenza».

«Senza dubbio», disse.

«E non bisogna ammettere anche questo?» «Che cosa?» «Che si tratta della conoscenza di ciò che eternamente è, non di ciò che nasce e perisce».

«è facile convenirne», disse: «la geometria è effettivamente la conoscenza di ciò che eternamente è».

«Quindi, nobile amico, essa può trascinare l’anima verso la verità e produrre un pensiero filosofico, al punto da rivolgere verso l’alto ciò che noi ora teniamo indebitamente rivolto verso il basso».

«Quanto più è possibile», rispose.

«E in ogni modo possibile», ripresi, «dobbiamo imporre agli abitanti della tua bella città di non astenersi assolutamente dalla geometria. Infatti anche le sue funzioni accessorie non sono di poco conto».

«Quali?», domandò.

«Quelle che hai menzionato tu», risposi, «in riferimento alla guerra; inoltre sappiamo che per un migliore apprendimento di ogni disciplina ci sarà una differenza totale tra chi è esperto in geometria e chi non lo è».

«Sì , proprio totale, per Zeus!», esclamò.

«Dobbiamo dunque stabilire questa come seconda disciplina per i giovani?» «Stabiliamola pure», disse.

«E come terza stabiliremo l’astronomia? O non sei dell’avviso?» «Sì che lo sono», rispose. «Essere più pronti a percepire le stagioni, i mesi e gli anni non si addice solo all’agricoltura o alla navigazione, ma anche, e non meno, alla strategia».

«Che carino», replicai: «sembra che tu tema di dare al volgo l’impressione di prescrivere discipline inutili! Invece non è affatto poco importante, anzi è difficile credere che in queste discipline si purifichi e si ravvivi in ciascuno di noi un organo dell’anima rovinato e accecato dalle altre occupazioni, e meritevole d’essere salvato più di un infinito numero di occhi, poiché solo grazie ad esso si vede la verità. Perciò chi condivide la tua opinione giudicherà le tue parole straordinariamente belle, mentre tutti quelli che non ne hanno mai capito nulla penseranno, com’è logico, che tu dica delle sciocchezze, perché non vedono in questi studi un’altra utilità di qualche importanza. Ora dunque considera a chi di loro ti rivolgi, o se piuttosto non ti rivolgi né agli uni né agli altri, ma fai i tuoi ragionamenti soprattutto per te stesso, senza comunque negare ad altri l’utilità che potrebbero ricavarne».

«Preferisco il secondo sistema», disse: «parlare con domande e risposte soprattutto per me stesso».

«Allora torna un passo indietro», ripresi, «perché poco fa non abbiamo afferrato correttamente ciò che viene subito dopo la geometria».

«In che senso?», chiese.

«Dopo una figura piana», risposi, «abbiamo preso in esame un corpo solido già in movimento prima dì considerarlo in se stesso; invece è corretto studiare la terza dimensione subito dopo la seconda. Essa è quella che concerne il cubo e i solidi dotati di profondità». «è così infatti», disse. «Ma questa scienza, Socrate, sembra che non sia stata ancora scoperta».
«Sì », confermai, «e per due motivi: si tratta di una disciplina troppo poco studiata, in quanto nessuna città la tiene in considerazione e presenta un grado elevato di difficoltà; inoltre coloro che conducono le loro ricerche in questo campo hanno bisogno di un maestro, senza il quale non potrebbero scoprire nulla. E questo maestro innanzitutto è difficile da trovare, poi, anche se ci fosse, ora come ora gli studiosi di questa disciplina non lo seguirebbero, perché sono presuntuosi. Se invece l’intera città collaborasse a tenerla in considerazione, questi individui si mostrerebbero obbedienti ed essa verrebbe indagata con assiduità e rigore, rivelando la sua essenza; perché anche ora, pur essendo disprezzata e osteggiata dal volgo, ma anche da chi la studia senza rendersi conto della sua utilità, a dispetto di tutto questo si sviluppa ugualmente grazie al suo fascino, e non ci sarebbe da meravigliarsi se venisse in piena luce».
«Senza dubbio», disse, «possiede una straordinaria attrattiva. Ma spiegami più chiaramente ciò che hai detto poco fa. Tu hai definito geometria la trattazione delle figure piane».

«Innanzitutto», risposi, «chi si accosterà ad essa non dev’essere zoppo nell’amore per la fatica, cioè laborioso soltanto a metà. Questo accade quando uno è appassionato di ginnastica e di caccia e pratica ogni sorta di esercizio fisico, ma non ama imparare, né ascoltare, né fare ricerche, anzi detesta la fatica in tutte queste attività; ma è zoppo anche chi indirizza la sua laboriosità nel senso contrario a questo».
«Quello che dici è verissimo», ammise.

«In conclusione», ripresi, «l’aritmetica, la geometria e tutta l’educazione propedeutica che va impartita prima della dialettica devono essere proposte sin dall’infanzia, senza però conferire all’insegnamento una forma costrittiva».
«E perché?» «Perché», risposi, «l’uomo libero non deve imparare nulla con la costrizione. Le fatiche fisiche, anche se sono affrontate per forza, non peggiorano lo stato del corpo, mentre nessuna cognizione introdotta a forza nell’animo vi rimane».

«Quindi, carissimo», continuai, «non educare i fanciulli negli studi a forza, ma in forma di gioco: in questo modo saprai discernere ancora meglio le propensioni naturali di ciascuno».

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