Il significato di: epìpedon, stereòn, kybon, grammèn. Dai termini geometrici greci a quelli latini, la figura di Aulo Gellio e il suo lavoro.

Aulo Gellio visto da B. Scognamiglio
In Aulus Gellius, Noctes Atticae, I, XX, 1-8, troviamo una serie di corrispondenze linguistiche di termini latini con termini usati in geometria dai Greci. Vale a dire che Aulo Gellio ci informa sui modi in cui presso i Romani veniva elaborata sul piano linguistico una geometria a partire da quella greca. Non si tratta di una sua semplice traduzione: Gellio si impegna a definire sommariamente i motivi dell’uso di taluni vocaboli latini rispetto a quelli greci riferiti a questa o quella figura geometrica. Così avviene per le figure dei triangoli e dei quadrati sulle superfici piane e per i solidi come le piramidi e i cubi. Nel brano sono menzionati Pitagora e Euclide. Gellio ricorda che per Pitagora il cubo del numero tre, ovvero tre elevato alla terza potenza, corrispondeva al periodo della rivoluzione lunare. Per quanto riguarda Euclide, Gellio non nasconde la difficoltà di trovare un’espressione equivalente a quella da lui usata per definire la linea.
Il testo latino del brano preso in esame è stato desunto dal sito: the latin library
Anche se non si tratta di un’edizione critica, il testo risulta comunque utile allo scopo della presente nota, nella quale è seguito da una libera traduzione di cui chi scrive si assume la responsabilità. Sui vocaboli greci traslitterati sono stati aggiunti gli accenti. I vocaboli greci presenti nel testo di Gellio corrispondenti a quelli traslitterati sono riportati in calce.
Per chi desideri un’edizione critica del testo latino con traduzione italiana a fronte: Aulo Gellio, Le notti attiche, UTET, 2007 (1992), a cura di Giorgio Bernardi-Perini. L’edizione fa parte della collana di classici latini fondata da Augusto Rostagni e diretta da Italo Lana. Su amazon.it si dà notizia dell’edizione digitale con compendio esegetico e testo integrato in forma ipertestuale.
Ecco il testo latino.
1 Figurarum, quae skèmata geometrae appellant, genera sunt duo, “planum” et “solidum”.
2 Haec ipsi vocant epìpedon kai stereòn. “Planum” est, quod in duas partis solum lineas habet, qua latum est et qua longum: qualia sunt triquetra et quadrata, quae in area fiunt, sine altitudine.
3 “Solidum” est, quando non longitudines modo et latitudines planas numeri linearum efficiunt, sed etiam extollunt altitudines, o quales sunt ferme “metae triangulae”, quas pyràmidas appellant, vel qualia sunt quadrata undique, quae kybous illi, nos “quadrantalia” dicimus.
4 Kybos enim est figura ex omni latere quadrata, “quales sunt” inquit M. Varro “tesserae, quibus in alticolo luditur, ex quo ipsae quoque appellatae kyboi.”
5 In numeris etiam similiter kybos dicitur, cum omne latus eiusdem numeri aequabiliter in sese solvitur, sicuti fit, cum ter terna ducuntur atque ipse numerus terplicatur.
6 Huius numeri “cubum” Pythagoras vim habere lunaris circuli dixit, quod et luna orbem suum lustret septem et viginti diebus et numerus “ternio”, qui triàs Graece dicitur, tantundem efficiat in “cubo”.
7 “Linea” autem a nostris dicitur, quam grammèn Graeci nominant.
8 Eam M. Varro ita definit: “Linea est” inquit “longitudo quaedam sine latitudine et altitudine”.
9 Eukleides autem brevius praetermissa altitudine: “Grammè” inquit “est mèkos aplatès”, quod exprimere uno Latine verbo non queas, nisi audeas dicere “inlatabile”.
Ecco la libera traduzione.
Le figure geometriche denominate dai geometri greci skèmata sono di due tipi: epìpedon e stereòn, vocaboli ai quali in latino corrispondono i termini “planum” e “solidum”. È detta “planum” la figura limitata soltanto da linee estese in larghezza e in lunghezza su una superficie piana e priva di altezza, come lo sono, ad esempio, i triangoli e i quadrati. Si ha la figura detta “solidum” se le dimensioni delle linee non si limitano a estendersi in lunghezza e larghezza su un piano, ma si elevano anche in altezza, come nel caso delle “metae triangulae” (coni triangolari) corrispondenti in greco a pyràmidas o delle figure dai lati quadrati da ogni parte che i greci chiamano kybous e noi latini “quadrantalia”.
Infatti il kybos è una figura che ha per ogni lato un quadrato, come lo sono a detta di Varrone le “tesserae”, ovvero i dadi con cui si gioca d’azzardo sul tavoliere, cosicché questi stessi vengono denominati kyboi. In campo numerico analogamente si usa il termine kyboς quando il medesimo numero di ogni faccia si risolve in modo uguale in se stesso, come avviene quando si moltiplica tre per tre e il risultato viene moltiplicato ancora per tre.
Pitagora afferma che il cubo del numero tre corrisponde come entità numerica al periodo della rivoluzione lunare, poiché la luna percorre la sua orbita in ventisette giorni e il numero “ternio”, che in greco è detto triàs, si risolve in egual misura nel cubo. Da noi in latino viene poi detta “linea” quella figura che in greco è detta grammèn.
Varrone dà della “linea” questa definizione: una lunghezza senza larghezza e senza altezza. Più stringatamente Euclide, senza nominare l’altezza, definisce la figura denominata grammè con l’espressione mèkos aplatès, ovvero lunghezza senza larghezza. Non è possibile tradurre quest’ultima espressione in latino con una sola parola, a meno che non si ardisca tradurla con “inlatabile” ovvero figura priva di larghezza.
Traslitterazioni nel testo di thelatinlibrary dei termini greci corrispondenti nel brano di Gellio (qui riportati al nominativo singolare):
“skèmata” da σχήμα
“epìpedon” da ἐπίπεδον
“stereòn” da στερεός
“pyràmidas” da πυραμίς
“kybon” da κύβος
“triàs” da τριάς
“grammèn” da γραμμή
“mèkos aplatès” da μήκος ἀπλατές
Prospetto dei vocaboli greci con i termini latini corrispondenti secondo quanto risulta in Gellio:
skèmata ⇒ figurae
epìpedon ⇒ planum
stèreon ⇒ solidum
pyràmidas ⇒ metae triangulae
kybous ⇒ quadrantalia
triàs ⇒ ternio
grammèn ⇒ linea
mèkos aplatès ⇒ inlatabile
Cenni biografici
Aulo Gellio, vissuto nel secondo secolo dopo Cristo, dopo gli studi compiuti grammaticali e retorici compiuti a Roma, suo luogo di nascita, si recò ad Atene per completare la propria istruzione. Lì, nell’Attica, si dedicò fra l’altro ad elucubrazioni notturne sui più svariati argomenti: di qui il titolo Notti Attiche, opera in ben venti libri (la sopra citata edizione italiana in due volumi conta più di un migliaio di pagine), elaborata secondo un metodo che ricorda alla lontana il metodo dello Zibaldone leopardiano, eccetto che ciascun capitolo delle Notti Attiche è preceduto da un elenco degli argomenti in esso trattati, avendo voluto l’autore che ogni lettore possa venirne agevolmente a conoscenza scorrendoli.
In Gellio prevale lo spirito di un erudito che si compiace e si entusiasma per la particolarità dei saperi di volta in volta acquisiti con uno spirito da indefesso esploratore, curioso anche delle minuzie.
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