Una testimonianza di amore contrastato per la matematica. Impari a memoria! Da una lettera pubblicata dal Periodico di Matematiche.
La cultura autentica è sempre un momento essenziale di vita. Diventa una componente dell’esistenza. Avvertire una mancanza culturale comporta disagio, rammarico, rimpianto.
Il Periodico di Matematiche della Mathesis è stato per lungo tempo un compagno di viaggio di tanti educatori e cultori nel campo delle discipline scientifiche. Alla ripresa delle pubblicazioni (dicembre 1972) dopo un periodo di assenza se ne sentì ancor più intensamente l’importanza. Lo provano le numerose lettere attestanti all’epoca viva soddisfazione per il ritorno di un così ricco supporto alla ricerca e all’insegnamento. Nelle pagine di quella pubblicazione veniva intravista un’operosità destinata al servizio dei lettori con autentico spirito di amicizia. [VEDI]
Fra quelle lettere se ne distingue una, riportata di seguito, per il suo calore umano.
È la lettera1 non di un matematico né di un fisico, ma di un avvocato. Viene qui riproposta anche perché siamo nell’epoca della posta elettronica che induce ad essere sbrigativi nella scrittura, mentre il ricordo di uno stile epistolare di ascendenza classica può essere fonte sorgiva di riflessione.
Ciò per quanto attiene alla forma. Quanto al contenuto, anticipiamo che si tratta della matematica come oggetto di rimpianto al pari di un primo amore perduto.

Saverio Bettinelli (1718-1808)
“Partecipazione” e “tristezza”. Dimensioni struggenti dell’esistere.
Professori che negavano la gioia dell’abbraccio mentale e sentimentale alla matematica. Sì: la matematica può essere come un primo amore perduto. C’è stato chi ha impedito la realizzazione di un sogno. E a impedirlo è stato proprio chi per dovere professionale avrebbe dovuto condurre quel giovane studente in quel territorio che è restato invece “terra di nessuno”. Territorio che per l’avvocato è diventato un “non luogo”. È l’esperienza più atroce quella della fine dell’utopia. Come un lasciate ogni speranza.
Secondo Edgar Morin l’utopia non è finita. L’ormai centenario intellettuale distingue però una “utopia buona” da una “utopia cattiva”. Per lui “utopia buona” è quella che non vagheggia una realizzazione completa degli ideali, ma si può accontentare della realizzazione soltanto di ciò che è possibile realizzare. Ma questo realismo è l’antitesi dell’utopia!
Per il nostro avvocato non vi è stata alcuna “utopia buona”. La scuola del suo tempo lo ha arrestato sulla soglia del principio di reazione così enunciato da Newton nei Philosophiae naturalis principia mathematica: “Actioni contrariam semper et aequalem esse reactionem, sive corporum duorum actiones in se mutuo semper esse aequales et in partes contrarias dirigi”. L’esperto del diritto è stato vittima di un’ingiustizia. Ciò che gli è rimasto in memoria ha generato rimpianto perché a partire da quel latino si sarebbe dovuto guidarlo ad inoltrarsi nella conoscenza scientifica e ciò non è stato.
Questa lettera vale anche come viatico per coloro che abbiano il compito di insegnare.
I loro sono segni che nel bene o nel male restano impressi. Non dicano di imparare a memoria, ma aiutino a capire. Agli allievi parlino. Li guardino. A distanza di tempo quei docenti incontrati purtroppo dal nostro avvocato allora adolescente continuano ad essere giudicati secondo il codice della coscienza.
NOTA
1 La lettera è indirizzata a Bruno de Finetti, Direttore del Periodico di Matematiche dal 1972 al 1981.
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