Una nuova pagina di Bourbaki per insegnare matematica usando la sua storia. È d(xy)=dxdy? Leibniz dà la risposta giusta, ma Newton già la sapeva.
Bourbaki riconosce il genio di Isaac Newton, ma predilige il sogno di Gottfried Wilhelm von Leibniz. Gli è più congeniale. È con Leibniz, infatti, che l’algebrizzazione dell’analisi infinitesimale diviene un fatto compiuto, trasformata in Calculus. Leibniz ha fatto per la nuova Analisi quanto Viete aveva già fatto per la teoria delle equazioni. E Cartesio per la geometria.
Ecco allora un’altra pagina antologica tratta da Nicolas Bourbaki per insegnare la matematica usando la sua storia.
[…] Ma ciò che più colpisce fin dal primo apparire dei nuovi simboli, è il vedere Leibniz immediatamente occupato a formularne le regole per l’uso, domandandosi se d(xy)=dxdy e rispondere a se stesso negativamente, per arrivare poi progressivamente alla regola corretta che più tardi avrebbe generalizzato con la famosa formula per dn(xy). Naturalmente, mentre Leibniz avanza a tentoni in questa direzione, Newton sa già da 10 anni che z=xy porta come conseguenza
Ma non si prende mai la briga di enunciare questo fatto, considerandolo solo un trascurabile caso particolare della sua regola per differenziare una relazione F(x,y,z) tra fluenti.
La principale preoccupazione di Leibniz, al contrario, non è di servirsi dei suoi metodi per la risoluzione di certi problemi concreti, e neppure di dedurli da principi rigorosi ed inattaccabili, ma soprattutto di mettere in piedi un algoritmo fondato sull’uso formale di alcune regole semplici. È con queste intenzioni che egli migliora la notazione algebrica con l’uso delle parentesi, che adotta progressivamente, logx o lx per il logaritmo, e che insiste sul “calcolo esponenziale”, vale a dire sulla considerazione sistematica di esponenziali, ax, xx, xy, il cui esponente è una variabile. Ma soprattutto, mentre Newton introduce le flussioni di ordine superiore solo per quel tanto che sono necessarie in ciascun caso concreto, Leibniz si orienta molto presto verso la creazione di un “calcolo operazionale” con l’iterazione di d e di ∫. Prendendo a poco a poco coscienza dell’analogia fra la moltiplicazione dei numeri e la composizione degli operatori del suo calcolo, adotta, con felice audacia, la notazione esponenziale per scrivere le iterate di d, ponendo dunque dn per l’n-esima iterata, d-1, d-n per ∫ e le sue iterate e cercando persino di dare un senso a dα per un α reale qualunque.Nicolas Bourbaki, Elementi di Storia della Matematica, pagg. 203-204
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