Contro l’aritmetica pratica dei Romani rivolta ai soli fini economici. La matematica rivoluzionaria di Catullo.

Gaio Valerio Catullo (84 – 54 a,C.)
Rileggere le nugae V e VII del Liber catulliano in una prospettiva matematica consente di delineare una fisionomia del poeta non solo sentimentale, ma anche contestataria nei confronti della società mercantile del suo tempo.
Nel carme V l’abaco deve essere usato per contare i baci, non per fare calcoli economici, tant’è vero che una volta raggiunta una certa somma lo si può buttare via, a differenza di quanto avviene nelle transazioni commerciali. Il totale in amore non importa, tanto si può essere sempre pronti a ricominciare daccapo, senza giungere mai a fermarsi nel possesso di una somma consolidata di denaro. Nel finale ironico gli invidiosi restano scornati perché la somma da invidiare non è monetaria, ma erotica: si pensi al verso finale introducendo una pausa prima di basiorum là dove un mercante si attenderebbe monetarum. E nel carme VII il voler pernumerare le basiationes infinite può implicare il contrapporle ai calcoli effettuati per ogni ingorda accumulazione di ricchezze.
L’ipotesi di un Catullo ribelle in questi termini è avvalorata da un’altra delle nugae altrettanto famosa delle due già prese in esame.
XIII
Cenabis bene, mi Fabulle, apud me
paucis, si tibi di favent, diebus,
si tecum attuleris bonam atque magnam
cenam, non sine candida puella
et vino et sale et omnibus cachinnis.
Haec si, inquam, attuleris, venuste noster,
cenabis bene; nam tui Catulli
plenus sacculus est aranearum.
Sed contra accipies meros amores
seu quid suavius elegantiusve est:
nam unguentum dabo, quod meae puellae
donarunt Veneres Cupidinesque,
quod tu cum olfacies, deos rogabis,
totum ut te faciant, Fabulle, nasum.
Qui la chiave di volta è il sacculus. Il poeta è squattrinato.
Noi diremmo che il suo borsellino è vuoto e lo è da tempo, se non da sempre, tant’è vero che è diventato nido di ragni o ragnatele. Il suo Fabullo, che lui chiama “bello mio” con intenzione non si sa se sincera, ironica o adulatrice, potremmo immaginarlo invece come un magnate arricchitosi coi suoi traffici commerciali, capace economicamente di procurare una cena squisita e abbondante insieme con una bella ragazza (nel caso poi che Catullo lo sapesse un po’ avaro, l’invito a cena rovesciato suonerebbe come una provocazione). Però Alessandro Fo nella sua edizione critica del Liber, là dove commenta che “Catullo progetta una sorta di compenso per l’esposizione economica cui, nell’eventualità, Fabullo andrà incontro”, ricorda che nel carme 47 lo stesso Fabullo è presentato non come un riccone, ma come uno “spiantato”.
Può darsi insomma che ci troviamo di fronte a un ricco e a un povero oppure a due poveracci (in questo secondo caso ci sarebbe da dubitare che quella cena abbia poi avuto davvero luogo).
In definitiva, i carmi V, VII, XIII del Liber catulliano contrappongono il patrimonio dei sentimenti alla corsa al guadagno del suo tempo, nel quale un’incoercibile smania di lucro si avvale di un uso pratico della matematica rivolto ai soli fini economici. Per Catullo ciò che importa è il calcolo di basia e basiationes alla sua amata insieme con la constatazione che nel suo sacculus vuoto di denaro all’infuori di quei ragni o di quelle ragnatele non c’è null’altro da contare.
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