Un repertorio delle ricerche sui rapporti fra matematica, letteratura e poesia sviluppate nel primo decennio del Duemila.

Giacomo Leopardi (1798- 1837)
Quasi alle soglie del Duemila sul glorioso Periodico di matematiche – Organo della Mathesis – Emilio Ambrisi pubblicava un saggio intitolato Giacomo Leopardi: il genio, la matematica, la poesia. Il saggio risulta assai stimolante, inducendo a ripensare per l’appunto il rapporto fra il “giovane favoloso” e la “regina delle scienze”, dal momento che, come ricorda l’autore, Monaldo Leopardi ci teneva molto alla formazione matematica dei suoi rampolli, al punto di organizzare un “saggio di matematica reso pubblicamente dai fratelli Leopardi, Giacomo e Carlo, in una di quelle serate di mondanità”.
Andiamo dunque a consultare alla ricerca della voce “Matematica” lo Zibaldone leopardiano nell’edizione di Tutte le opere con introduzione e a cura di Walter Binni con la collaborazione di Enrico Ghidetti. Sfogliamo le pagine dell’indice analitico a cura degli studiosi citati. Ed ecco la voce “Matematica”.
Appare in diversi luoghi, così indicati in utile sintesi nell’indice analitico:
“suoi assiomi forse necessari e assoluti”; “contraria al piacere”; “la scienza e la pratica della m. per una parte assuefà, per l’altra facilita all’uomo l’uso della ragione”; “non può mai seguire nulla di poetico”; “le m. sono costrette, per considerare gli effetti delle forze, a supporre tutti i corpi perfettamente duri e levigati”; “sue somiglianze con la metafisica”. C’è anche la voce “Geometria”: “non c’è cosa più nemica della natura dell’arida geometria”; “osservazioni in proposito alla diversità fra geometria e poesia in un passo di D’Alembert”.
Ci sono però anche le voci “Numero” con rimando ad “Armonia” e “Numeri” con rimando a “Nomi dei numeri”. Per il rampollo Giacomo, formato matematicamente, il numero è “vario ne’ vari secoli di ciascuna letteratura: mutandosi, muta anche la lingua e lo stile, ecc.”. Egli scrive di “arte che infinita si richiede alla retta economia ed uso de’ numeri”. E individua altresì “nomi numerali”: se un “pastore primitivo o selvaggio, privo di favella”, fosse privo anche di “nomi numerali”, non potrebbe “rassegnare la sera il suo gregge […] se non in maniera materialissima”.
Per il Leopardi “l’invenzione dei nomi numerali fu delle più difficili, ed una delle ultime invenzioni de’ primi trovatori del linguaggio”. I fanciulli, osserva il Leopardi, hanno bisogno di “incastrare le idee rispettive dei numeri, nelle parole che li rappresentano”, per passare dal semplice “contar questi numeri” al “concepire le corrispondenti quantità”. Altra osservazione: la parola secondo è un “numero ordinativo” che “esprime un’idea materiale, e derivata da’ sensi, e naturale”, la cui forma “sussiste fuori dell’intelletto”, mentre la parola due “significa un’idea la cui forma non sussiste se non che nel nostro intelletto”. Orbene, fra le tante affermazioni fin qui riportate spicca e colpisce quella che dalla matematica “non può mai seguire nulla di poetico”. Sembra di trovare nel pensiero del nostro Giacomo una sorta di contraddizione. Infatti in altro luogo, come si sarà notato, dalla voce “Numero” vi è il rimando alla voce “Armonia”.
Ed è a questo punto che conviene lasciare in sospeso l’enigma affiorato e inserire un excursus digressivo sul primo decennio del Duemila.
Dopo il sopra citato saggio dell’antesignano Emilio Ambrisi si va sviluppando un repertorio di ricerche sui rapporti fra letteratura e matematica.
Particolarmente interessante in proposito è il contributo di Gian Italo Bischi, docente universitario proveniente dall’insegnamento di matematica e fisica nella scuola secondaria superiore, il quale in Matematica per la letteratura, letteratura per la matematica fa un bilancio della situazione aperto ad interazioni future, discorrendo di cross fertilization fra le due regine. Sul piano della creazione, osserva Gian Italo Bischi, la terminologia matematica consente ai letterati di avvalersi fra l’altro di significativi elementi strutturali.
Non a caso il Leonardo Sinisgalli del Furor mathematicus, ricordano ancora Gian Italo Bischi e Pietro Nastasi, riconosce “una simbiosi fruttuosissima tra la logica e la fantasia”, unite nella comune “facoltà inventiva” già teorizzata dal nostro Giacomo Leopardi, tant’è vero che “da una stessa sorgente […] vennero i poemi di Omero e Dante, e i principii matematici della filosofia di Newton”. Una messe di esempi atti ad avvalorare questo tipo di discorso è dato trovare nelle opere Il matematico in giallo e L’aritmetica di Cupido di Carlo Toffalori, nell’antologia Racconti matematici a cura di Claudio Bartocci, nel contributo di Massimo Bucciantini su Italo Calvino e la scienza, nella ricerca di Bruno D’Amore Più che ‘l doppiar de li scacchi s’immilla. Incontri di Dante con la matematica, nel saggio Pirandello Matematico di Luca Nicotra, nell’intervento di Antonio Borriello sui Riferimenti numerici in Samuel Beckett, e così via.
Tuttavia tutte le suggestioni fin qui sommariamente citate non colgono, a nostro avviso, in tutta la sua profondità costitutiva il nesso reciproco fra letteratura e matematica, tale da far divenire universalmente palese quella loro intesa, il cui segreto finora solo parzialmente ha cominciato a svelarsi. Ciò che occorre è cominciare a rintracciare con la maggiore evidenza possibile l’intesa sia sui piani storico e geografico che all’interno della struttura cerebrale umana in termini evolutivi. Si rende infatti necessario sondare gli elementi semplici che generano nel tempo e nello spazio la simbiosi generativa delle intrecciate strutture logiche e fantastiche proprie delle scienze matematiche e delle arti letterarie, senza dimenticare le arti musicali, quelle figurative e quante altre.
Ed ecco una digressione nella digressione.
Chissà perché nelle scuole simili insegnamenti mancano. Basterebbe smettere di perder tempo e danneggiare la formazione con pratiche tipo OCSE-PISA e Invalsi, iniziando piuttosto ad introdurre in un arco di studi pluriennale una disciplina del tipo Storia delle matematiche nel mondo affiancata ad un’altra del tipo Storia delle letterature e delle altre arti nel mondo. Certo è che proprio i docenti riescono più agevolmente ad addentrarsi nell’apparente mistero della solidarietà fra numero e parola.
È il caso della docente di storia e filosofia Antonietta Pistone, che in un articolo apparso sulla rivista “Pianeta cultura”, poggiato sulla base di quelle scienze umane in attesa di essere accolte anch’esse nelle nostre scuole ed insieme in forza dei risultati più plausibili delle discipline propriamente scientifiche, riconduce il discorso agli emisferi cerebrali e alle sinapsi, ricordando la logica binaria a due valori di verità di Boole ed evidenziando così la “relazione profonda tra cervello umano e sistema computerizzato di elaborazione delle informazioni”. Ciò che maggiormente ci interessa nel discorso della Pistone è comunque questa semplice espressione: “Il numero, difatti, è in matematica l’equivalente della parola per il linguaggio”.
Siamo tornati in tal modo allo snodo del pensiero leopardiano concernente il rapporto fra numero e armonia (ovvero fra gli elementi essenziali di matematica e poesia). Ed è di qui che possiamo inaugurare ulteriori ricerche innanzitutto su autori eccelsi quali Dante Alighieri, William Shakespeare, Giacomo Leopardi, Samuel Beckett.
In Dante la visione di Dio trova il suo sublime culmine poetico nella rappresentazione geometrica e matematica insieme di un punto infinitamente piccolo
“un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si colloca” (Paradiso, vv. 16-21)
In Shakespeare subentra la problematica del nulla: al Re Lear, ad esempio, quel buffone del Matto si rivolge schernendolo col definirlo così: “an 0 whithout a figure”
Nel Leopardi il legame da lui teorizzato fra numero e armonia si risolve invece nella dolcezza dello smarrirsi nell’infinito come nel finale di una sinfonia che cede al silenzio: “e il naufragar m’è dolce in questo mare”
Con Beckett torniamo poi all’enigma dello zero, che può essere il tutto o il nulla, in En attendant Godot, personaggio concepito oltre il kofon prosopon della tragedia greca antica, perché il suo silenzio deriva dall’assenza:
“Vladimir
On se pendra demain. A moins que Godot ne vienne.
Estragon
Et s’il vient?
Vladimir
Nous serons sauvés”
Ci ricorda Antonio Borriello a proposito di Beckett che il drammaturgo teneva sempre con sé sul proprio comodino la Bibbia. Poiché la Biblioteca Esoterica Esonet, partendo dal testo ebraico della Bibbia e dai valori numerici delle lettere dell’alfabeto ebraico, giunge a sostenere che il numero corrispondente al “valore segreto” di Yahwee ritorna nella somma dei “numeri magici” della stabilità dei nuclei atomici (il numero identico sarebbe 288), sorge spontanea una domanda: Beckett, che aveva così presente il testo sacro, vuole raffigurare in Godot un deus absconditus oppure lo zero assoluto dell’assenza della divinità, “an 0 without figure”?

Albert Einstein (1879-1955)
Con questa sintetica esplorazione in un campo sterminato abbiamo cercato di mostrare come la sintonia fra le “due regine” sia insita in quei valori elementari evidenziati da Giacomo Leopardi nel suo rinvio dalla complessità della matematica al numero e all’armonia. C’è poesia nella matematica e matematica nella poesia ad un livello costitutivo prima ancora che contenutistico. Se la geostoria della matematica confermerà questo assunto, potremo assegnare ad esso negli ambiti logici ed estetici parimenti creativi un valore almeno tendenzialmente universale. Tanto più che lo scienziato Albert Einstein, a quanto si narra, non veniva considerato un genio in matematica e il poeta Giuseppe Ungaretti dal canto suo in matematica a scuola aveva dieci e risultava meno bravo nelle materie letterarie. Eppure l’uno ha dato all’umanità la formula E = mc2 e l’altro la lirica dell’infinito:
Mattina
Santa Maria La Longa,
il 26 gennaio 1917
M’illumino
d’immenso
Nella formula di Einstein non si avverte forse qualcosa di poetico così come nella lirica di Ungaretti vi è una componente numerica che produce armonia? Ha ragione Leopardi e anche noi con Einstein e Ungaretti naufraghiamo estaticamente in un immenso mare di luce.
NOTA
L’articolo sopra riprodotto è stato pubblicato nel Periodico di Matematiche 3/2015 con il titolo Matematica e poesia nel pensiero del “giovane favoloso”.
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