Verso la maturità 2022. La discussione sulla presunta dimensione teatrale dell’esame di maturità.
Sull’esame come messinscena
“Il problema non è l’esame di Stato che certo andrebbe ricalibrato. La prova finale a conclusione del quinquennio continua ad essere ciò che è sempre stata: una grande messinscena nazionale coi ruoli prefissati e gli esiti in gran parte scontati […] L’esame finale è solo una prova rituale, a contare è il percorso per arrivare fin lì.”
Così si è espresso lo scrittore Eraldo Affinati intervistato da Raffaella De Santis (“la Repubblica”, 26 novembre 2021). Di primo acchito potrà sembrare che abbia ragione. Però non è il caso di affrettarsi a darglielo. Conviene esaminare criticamente le sue esternazioni, lasciando in sospeso per ora quell’accenno alla necessità di ricalibrare il tutto.
In primo luogo notiamo una contraddizione. L’esame è detto da una parte “grande messinscena nazionale”, dall’altra “prova rituale”. Senonché la messinscena non è esattamente un rito. E se l’esame è ripetizione di un rito, resta qualcosa di serio.
Si suole dire ormai che l’esame è inutile, perché ciò che conta sarebbe “il percorso per arrivare fin lì”. Così si fa confusione. Una cosa è il percorso, altra cosa è dimostrare di averlo compiuto.
E lo si può dimostrare in forme diverse, purché si proceda in ogni caso con quella serietà che Emilio Ambrisi ci dice necessaria.
Sognare l’esame
Una proiezione teatrale dell’esame esiste, non però nella realtà. Il palcoscenico su cui l’azione si svolge è l’inconscio. Se n’è occupato Sigmund Freud in Die Traumdeutung (1900). Ne riportiamo alcuni passi nella traduzione di Antonella Ravazzolo (in Freud, L’interpretazione dei sogni, Newton Compton, 1970):
“Chiunque abbia passato gli esami di maturità, alla fine del liceo, si lamenta della perseveranza con cui viene perseguitato da sogni di angoscia, di essere stato bocciato, o di essere costretto a ripetere l’esame, ecc. […] Gli indelebili ricordi delle punizioni sofferte per i nostri misfatti si ridestano dentro di noi e si collegano ai due punti cruciali dei nostri studi, il <<dies irae, dies illa>> dei nostri esami più difficili.”
Tuttavia “i sogni della maturità li fanno solo quelle persone che l’hanno superata brillantemente e mai quelle che sono state respinte”. Freud introduce in proposito un esempio che riguarda lui stesso:
“Per esempio, io sono stato respinto all’esame di medicina legale, quando ho fatto gli esami finali; ma non mi è mai capitato questo argomento nei sogni, mentre sono stato esaminato spesso in botanica, zoologia o chimica. Mi presentai a questi esami con paura ben fondata, ma, o per grazia del destino o dei miei esaminatori, sfuggii alla punizione.”
I sogni presi in esame da Freud riguardano esami già sostenuti e non esami da sostenere. Sarebbe interessante raccogliere materiale sui sogni di candidati in procinto di affrontare la prova, per stabilire fino a che punto nell’attesa l’attività onirica comporti ansia ed angoscia.
Il candidato di fronte al futuro
Nell’antica Roma erano detti candidati gli aspiranti a una carica pubblica, tenuti a indossare la toga candida, simbolo di oneste intenzioni. Oggi anche il maturando è detto candidato. Ormai, nel dirlo tale, ci si lascia sfuggire il senso etimologico del sostantivo. L’esame ha una dimensione che resta implicita e non percepita: i giovani che lo affrontano dovrebbero dar prova agli adulti di avere acquisito un abito etico.
Gli antropologi evidenziano l’importanza dei riti di passaggio, che si configurano come prove di iniziazione. Diffusi nel tempo e nello spazio, si configurano in forme diverse, molte delle quali presentano aspetti confliggenti con la civiltà comunemente intesa. Qui ci interessa il valore dell’esame come lasciapassare per la società civile. Ecco perché l’esame è detto di maturità ed è statale.
L’esame italiano risulta attualmente più vicino all’Abitur tedesco che al Baccalauréat francese. In Francia, nonostante una valutazione preventiva al penultimo anno, la percentuale dei respinti all’esame finale è notevole. In Germania una commissione formata dai docenti interni dà maggiore importanza al percorso, cosicché l’esame non ha un carattere selettivo, fermo restando però che la votazione conseguita è importante ai fini dell’accesso agli studi universitari.
Resta irrisolto un interrogativo. Ci chiediamo che cosa si debba intendere per essere preparati. Preparazione in che cosa e per cosa?
Responsabilità, serietà, dignità
A questo punto sarà sorta spontanea un’obiezione. Si dice che da noi l’esame è diventato di una facilità tanto accentuata da perdere il suo stesso significato. Quindi è da ritenere che i candidati siano persuasi ormai di essere stati promossi in anticipo. Sarebbero venute meno in tal modo responsabilità, serietà, dignità e si dovrebbe stabilire di chi sia la colpa di un simile degrado morale.
Il tutti promossi viene ascritto innanzitutto a un asserito lassismo dei docenti. Le modalità dell’esame ritenute troppo blande sono ritenute una concausa. Completano il quadro gli studenti definiti impreparati. Insomma sul banco degli imputati si trova sempre e soltanto la scuola. Ed è alla scuola che viene accollato il compito di rimediare ad ogni inconveniente.
Si trascura così il fatto che spetta alla società civile nella sua interezza porgere esempi positivi atti a scongiurare disastri. Purtroppo in essa a predominare sono gli esempi negativi. A tutti i suoi membri, non solo a docenti e studenti, compete il compito di inverare ciò che contraddistingue l’essere umano: la dignità.
La società civile, prima ancora che la scuola, dovrebbe fare in modo col suo esempio che i giovani, prima ancora di cimentarsi nelle discipline, comprendano e sentano il valore di ciò che Dio dice ad Adamo nella Oratio de hominis dignitate di Pico della Mirandola:
“Tu potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine.”
Dov’è la burletta?
Perciò l’appello rivolto al Ministro dell’Istruzione dai docenti universitari del cosiddetto Gruppo di Firenze contro il presunto “esame burletta” è deludente. I firmatari vorrebbero che l’esame fosse tale da “trasmettere agli studenti il messaggio di serietà e autorevolezza che in fondo si aspettano da parte degli adulti”.
Lasciando stare il sentore di una certa supponenza nell’appello dalla forma non proprio impeccabile, vien fatto di chiedersi se gli adulti debbano trasmettere “il messaggio di serietà e autorevolezza” soltanto tramite l’esame e non mediante il loro stesso comportamento nell’intero contesto sociale, a partire dalla realtà politica.
Voglia il cielo che i giovani non debbano constatare in futuro di essere presi in giro da ben altro rispetto a ciò che si possa pensare dell’esame.
Scripta manent
Scripta manent è la denominazione data dal quotidiano “la Repubblica” a una serie di interviste concernenti la questione delle prove scritte alla maturità.
Nel dibattito, iniziato il 22 novembre, si è inserito in data 7 dicembre Gustavo Zagrebelsky, già Presidente della Corte Costituzionale, tra i firmatari del sopra ricordato appello degli accademici del Gruppo di Firenze.
L’intervista a cura di Raffaella De Santis è sormontata dal titolo a caratteri cubitali “Perché serve la fatica della scrittura”. Il contenuto del servizio giornalistico potrà essere oggetto di un nostro prossimo intervento.
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