Una memorabile giornata mondiale degli insegnanti. Quest’anno prolungata dal 5 al 10 ottobre e volta ad immaginare un altro futuro.
Festeggiamo gli insegnanti
Nel 1994 è stata istituita dall’UNESCO d’intesa con la Federazione sindacale Education international la Giornata mondiale degli insegnanti. Da allora ricorre annualmente il 5 ottobre. Per il 2020 la celebrazione concerne i modi con cui gli insegnanti possono concorrere a gestire la crisi e immaginare un altro futuro. È un festeggiamento di grande serietà. Si espanderà quest’anno nell’arco temporale 5-10 ottobre. Auspichiamo che gli elogi a chi insegna non si limitino a una retorica priva di concreti sviluppi. Dal canto loro gli insegnanti siano consapevoli dei modi in cui il loro ruolo si è andato svolgendo storicamente. Ciò per sviluppare nelle nuove circostanze gli aspetti positivi emersi nel tempo.
Importanza della funzione docente
Si è detto e scritto tanto sull’importanza della funzione educativa per lo sviluppo della civiltà. Anzi per la salvaguardia, la sopravvivenza e l’espansione della civiltà. La bibliografia è sterminata. Ma è incredibile la capacità di complicare le cose, senza andare all’essenziale. Basterebbe soltanto riflettere su una frase del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella sulla scuola: “Risorsa decisiva per il futuro di una comunità”. La scuola come risorsa. Quindi gli insegnanti come risorsa. Insieme con gli studenti, s’intende. Identificando la comunità con l’umanità intera. Utopia, si dirà. Certo, ma nel senso più nobile della parola.
Elogio della libertà d’insegnamento
Irina Bokova, Direttore Generale dell’UNESCO, ha lanciato un messaggio leggibile sul sito unesco.it. Un punto fondamentale riguarda la libertà d’insegnamento. Non a caso Irina Bokova mette in risalto come tema della celebrazione il seguente: “Teaching in Freedom, Empowering Teachers”. Qui la libertà viene intesa in prospettiva internazionale. In questo spazio planetario non deve essere conculcata dal potere. Si tratta non solo dei regimi dittatoriali. Anche nelle democrazie la libertà d’insegnamento può essere ostacolata. È da ritenere fondamentale questo passaggio del testo citato:
“In molti paesi, tuttavia, la libertà accademica e l’autonomia degli insegnanti sono sotto pressione. Ad esempio, nelle scuole primarie e secondarie in alcuni paesi i rigidi schemi di responsabilità hanno esercitato un’enorme pressione sulle scuole affinché fornissero risultati su test standardizzati, ignorando la necessità di assicurare un curriculum di ampio respiro che soddisfi le diverse esigenze degli studenti”.
A Irina Bokova si deve anche l’affermazione che la dignità degli insegnanti esige la corresponsione di retribuzioni adeguate alla delicatezza del ruolo.
Avversari della libertà d’insegnamento
Purtroppo non mancano sedicenti intellettuali che vedono nella categoria degli insegnanti una diffusa tendenza all’abuso della libertà d’insegnamento. Per loro gli insegnanti avrebbero bisogno di essere controllati, per evitare che trasformino la libertà in disimpegno. Eppure il numero di insegnanti dal persistente insufficiente rendimento è statisticamente trascurabile. Si parla anche di meritocrazia insussistente, come se non ci fossero state, mentre ci sono state, le note di qualifica: insufficiente, sufficiente, buono, ottimo. Bisognerebbe però chiedersi in quale misura gli insegnanti siano posti materialmente in condizione di esercitare quello che è un loro diritto garantito dalla Legge fondamentale dello Stato. Ovvio il rimando all’articolo 33, primo comma, della Costituzione della Repubblica Italiana, che testualmente recita:
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
Per approfondire l’argomento, si rinvia ai lavori preparatori della nostra Costituzione. La libertà d’insegnamento può essere assicurata solo se si forniscono i mezzi materiali per esercitarla e si rendono gli insegnanti non dipendenti da manovre funzionali ad andamenti politici e interessi economicistici estranei alla cultura o in collisione con essa.
La Costituzione ignorata
In un documento proveniente da vertici dirigenziali leggiamo purtroppo la richiesta “a chi urla ai quattro venti invocando la libertà di insegnamento, di informarsi bene”. Informarsi significherebbe rendersi conto che l’articolo 33, primo comma, della Costituzione è come se non esistesse:
“Il docente non è libero di insegnare oppure no. E nemmeno di scegliere cosa insegnare”.
Agli insegnanti non è richiesto dai firmatari alcun impegno culturalmente creativo. È evidente il proposito di assegnare ad essi un ruolo subalterno:
“Il docente si allinea al PTOF della sua scuola, si attiene alle Indicazioni Nazionali, organizza il suo lavoro in raccordo con i documenti della scuola in cui esercita il suo ruolo, e alle disposizioni che il Ministero emana …”.
In quest’ottica distorta si offusca la visione degli insegnanti come artefici di un’originale elaborazione del sapere in ossequio agli statuti disciplinari. È il sapere disciplinare a costituire la sostanza di un insegnamento autonomo e responsabile, libero da imposizioni dal carattere meramente burocratico. Compito dello Stato è garantire questa libertà, creando le condizioni per esercitarla. Sull’assolvimento di questo compito si vedano le sconsolate conclusioni in Antonio Santoni Rugiu – Saverio Santamaria, Il professore nella scuola italiana dall’Ottocento a oggi, Editori Laterza, 2011. Alle soglie di un decennio dalla pubblicazione di quella diagnosi c’è da essere ancor più sconsolati.
Limiti della libertà d’insegnamento
Spostiamoci dall’Italia agli Stati Uniti d’America. Prendiamo in esame il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti ratificato il 15 dicembre 1791:
“Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances”.
Sul sito lavocedinewyork.com sono riportate e discusse alcune conseguenze pratiche di questo emendamento. Vi si sostiene che in realtà agli insegnanti non sia assicurata la libera espressione del pensiero. Possono verificarsi e si verificano forti scontri fra libertà e potere politico. Per quanto riguarda l’Europa, citiamo dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE:
“Articolo 10 Libertà di pensiero, di coscienza e di religione 1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. […] Articolo 11 Libertà di espressione e d’informazione 1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. […] Articolo 13 Libertà delle arti e delle scienze Le arti e la ricerca scientifica sono libere. La libertà accademica è rispettata […]”.
La libertà implica in ogni caso la responsabilità. È un diritto-dovere. Sull’argomento si veda Carlo Emanuele Gallo, La libertà d’insegnamento: diritto individuale e dovere pubblico, sul sito bioeticanews.it. Ma prima ancora l’esercizio della libertà investe l’etica. Non a caso si parla di etica professionale. Quella che si richiede agli insegnanti nel momento stesso in cui essa viene meno in altre categorie.
Cosa significa insegnare
Nel 1969 Neil Postman e Charles Weingartner pubblicarono Teaching As a Subversive Activity. Era un’epoca di contestazione. Ben possiamo comunque concepire l’insegnamento come attività sovversiva, nel senso che occorre ricorrere a metodi nuovi nel mutare della circostanze, sconvolgendo certezze. La problematica è oggetto di studio delle moderne scienze umane e argomento di riflessione filosofica. Tutto ciò dovrebbe rientrare nella formazione di un insegnante. Non basta conoscere una disciplina. Ciò che conta è il modo di porgerla in un dato contesto. Qualche intellettuale dilettante vagheggia l’auctoritas del docente troneggiante in cattedra innanzi ad allievi costretti a iurare in verba magistri. Non nella cattedra risiede l’autentica autorità. L’insegnamento è (dovrebbe essere) coinvolgimento, cooperazione, costruzione comune.
Il carisma del docente
Coinvolgere, cooperare, costruire insieme esigono un’attitudine preliminare: il desiderio di esplorare. Esplorare è il tratto distintivo che l’essere umano ha ereditato dall’evoluzione. Gli animali subumani sono esploratori. Ma l’esplorazione umana investe la coscienza e dà un senso all’esistere. Siamo fatti per indagare sulla natura e in noi stessi. Suscitare questa consapevolezza in una classe è il primo passo nell’avventura del conoscere. In questo senso si esprime lo psicoanalista Massimo Recalcati in L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, 2014. Così fra l’altro egli scrive:
“Il maestro non solo conduce lungo strade che non si conoscono affatto, ma, soprattutto, come ci indica il gesto di Socrate, muove il desiderio del viaggio”.
Non trascuriamo la menzione di Socrate. Il Socrate di Platone è il prototipo dell’insegnante autentico. È da ricordare anche il mito della caverna. Insegnare significa affrancare dall’ombra guidando alla luce. Possiamo elaborare qualsivoglia teoria didattica: sarà tutto inutile, se l’eredità platonica verrà a mancare. Solo onorandola potremo inverare il detto di Plutarco più volte ripreso nella storia dell’educazione:
“La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”.
Fra tradizione e innovazione: l’italiano
In questo mondo dominato dall’ansia di aggiornamento ricordiamoci di essere “quasi nanos gigantum humeris insidientes”, secondo il detto attribuito a Bernardo di Chartres. Essere al passo coi tempi non è possibile, se ci si disfa della tradizione. Senza misurarsi col passato, non si può innovare. Consideriamo due discipline: l’italiano e la matematica. A proposito dell’italiano Giuseppe Antonelli interviene su La lettura del Corriere della Sera il 13 settembre 2020 con un articolo intitolato “Non portate a scuola l’italiano di una volta”:
“Quando si parla di ricerca, si guarda sempre al futuro; quando si parla di scuola, al passato. […] Quando si parla di scuola, sembra quasi che l’unica soluzione sia tornare indietro: alle antiche certezze del vecchio metodo di una volta”.
Contro il “vecchio metodo” così si esprime il linguista:
“Un atteggiamento che riguarda anche – forse, soprattutto – l’insegnamento della lingua italiana: dai nostalgici di quando c’era egli, ai rimpianti per il (tra)passato remoto e più in generale per la monolitica grammatica tradizionale”.
Comprendiamo le buone intenzioni dei moderni linguisti. Dispiace tuttavia che questo entusiasmo trasgressivo comporti un equivoco e un rischio. È azzardato mettere in secondo piano la necessità di mantenere saldo l’impianto della lingua. Altrimenti una forza centrifuga dispersiva rischia di snaturarla. Sono i vecchi che dimenticano il passato. Riandare alla questione della lingua significa collocare i fenomeni linguistici all’interno della storia sociale e politica della nazione. Altrimenti non si può ringiovanire.
Fra tradizione e innovazione: la matematica
Il fermento del nuovo spinge a trascurare le dimensioni storiche delle discipline. La storia è la memoria dell’umanità. Una matematica senza memoria: ecco un’assurdità. Ignorare Pitagora sarebbe un delitto contro l’universo. Trascurare Archimede ci renderebbe simili al soldato che, come narra Plutarco, lo uccise mentre era assorto nella meditazione su un problema da risolvere:
“Ἄφνω δ’ἐπιστάντος αὐτῷ στρατιώτου καὶ κελεύοντος ἀκολουθεῖν πρὸς Μάρκελλον, οὐκ ἐβούλετο πρὶν ἢ τελέσαι τὸ πρόβλημα καὶ καταστῆσαι πρὸς τὴν ἀπόδειξιν. Ὁ δ’ὀργισθεὶς καῖ σπασάμενος τὸ ξίφος ἀνεῖλεν αὐτό”.
Le geometrie non euclidee hanno senso proprio perché è esistito Euclide. La dimensione storica della matematica è avvincente come un’avventura. Poiché lo spirito degli adolescenti è avventuroso, conviene andare oltre la semplice offerta di formule. Le formule consolidate possono risultare aride. Guidare i discenti a ricostruire i dinamismi intellettivi ed intuitivi che le hanno generate: ecco un modo per suscitare entusiasmo. La matematica non è affatto avulsa dalla storia. Si veda su questo stesso sito Insegnare matematica: una rassegna storica. Alla luce della storia si può passare dall’insegnamento dell’arte e della scienza all’arte e alla scienza dell’insegnamento. Partire dal nulla è stato possibile solo al Big Bang o a Dio o a entrambi. Ammesso che il nulla sia mai esistito.
Lo stile dell’insegnante
È stato Massimo Recalcati a parlare di stile dell’insegnante. Lo stile si addice all’insegnante come artista. Mantenere uno stile nella realtà odierna in continuo mutamento non è semplice. Il mutamento caratterizza tutte le epoche. Oggi però è vorticoso e dispersivo. La realtà virtuale offre notevoli opportunità conoscitive, ma presenta anche ben noti effetti negativi. Agli insegnanti il compito di mettere a frutto le positività e scongiurare le negatività. C’è molto da lavorare. Professionisti e insieme operai dello spirito, gli insegnanti meritano di essere celebrati. Nelle esistenze essi lasciano il segno. Il loro è un lascito. Siamone degni.
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