Guido Trombetti e Giuseppe Zollo, Suggestioni Matematiche della Divina Commedia, Rogiosi editore, collana Schegge di conoscenza, 2021
Se e in che misura Dante calcolò la Divina Commedia
A Guido Trombetti, Professore Emerito di Analisi Matematica, e Giuseppe Zollo, Professore Ordinario di Ingegneria Economico-Gestionale, entrambi presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, si deve questo interessante contributo su un argomento tanto fascinoso quanto complicato. Argomento che ha condotto diversi studiosi a conclusioni debordanti ed eccessive. Come se Dante avesse calcolato meticolosamente una struttura matematica quanto mai rigida entro la quale calare la poesia.
La sacralità insita nei numeri
Vero è che il numero dei canti, 100, ovvero 99 + 1, nonché il ricorrere del numero 3 nel succedersi delle terzine con la terzina finale di ciascun canto divenuta quartina, ovvero 3 + 1, oltre ad altri esempi della cristiana sacralità numerica, sono espressioni di un preciso volere simbolico-allegorico, che culmina nel meditare sul mistero cristiano della Trinità. Ma maglie soffocanti e insieme asfittiche, come quelle escogitate dai più ostinati assertori della priorità delle corrispondenze numeriche rispetto all’invenzione poetica, rispecchiano l’esaltazione fissata di chi le confeziona.
Contro ogni azzardo speculativo
I nostri autori non cadono in simili errori, essendo consapevoli che l’elaborazione fantastica può richiedere, sì, degli schemi, non però al punto di restare ad essi subalterna. Respingono, quindi, decisamente quelli che definiscono “azzardi speculativi”:
“Abbiamo letto con gusto e divertito scetticismo erudite, e spesso farneticanti, interpretazioni numerologiche.”
Ciò non toglie che riconoscano i principali vincoli entro i quali Dante ha inteso sprigionare, da essi stimolato, la propria creatività. Diciamo che la matematica, usata con senso della misura, è stata per Dante una componente essenziale dell’elaborazione fantastica. Nella Divina Commedia gli elementi matematici concorrono a rispecchiare la sacralità del creato.

Guido Trombetti visto da B. Scognamiglio
Matematica “alta” e matematica “bassa”
Già in sede introduttiva vengono individuate nella Divina Commedia due matematiche: la matematica “alta”, quella dei filosofi, e la matematica “bassa”, quella dei mercanti. Siamo così di fronte a una prima suggestione, che ci spinge a riflettere sui modi in cui queste due matematiche entravano in rapporto o si scontravano nel Medioevo ed entrano in rapporto o si scontrano nella realtà contemporanea.
I limiti della numerologia
Altra suggestione è derivante dalla critica della numerologia. I tentativi di ritrovare il numero aureo nella struttura della piramide di Cheope o del Partenone non conducono ad alcun risultato certo. D’altra parte nella realtà possono verificarsi e si verificano stupefacenti coincidenze. Viene ricordato in proposito l’aneddoto di G. H. Hardy che, recatosi a far visita a S. A. Ramanujan in ricovero ospedaliero col taxi numero 1729, si sentì dire dal collega matematico che quel numero “è il numero più piccolo che può essere espresso come la somma di due cubi in due modi diversi”.
Fraintendimenti delle intenzioni di Dante
Allo stesso modo non possiamo essere certi che tutte le corrispondenze numerologiche attribuite da fantasiosi esegeti a coscienti intenzioni dantesche siano davvero intenzionali:
“Nella maggior parte dei casi Dante può essere imputato, al più, di delitti numerici preterintenzionali.”
Pur non essendo dantisti, gli autori colgono ed esprimono l’autentico rapporto che nella Divina Commedia è instaurato fra matematica e poesia:
“Per noi il Dante matematico più intrigante non è quello che nasconde la sua sapienza matematica e geometrica in enigmatiche corrispondenze numerologiche, ma quello che assorbe nel linguaggio poetico il ragionamento e le forme profonde della matematica.”
In altri termini:
“Ci domandiamo: a così perspicaci numerologi non viene il dubbio di come Dante, avendo costruito una gabbia tanto stringente, avesse trovato il tempo e la libertà espressiva per realizzare un’opera di così alta poesia?”

Giuseppe Zollo visto da B. Scognamiglio
La cultura matematica di Dante
Naturalmente il discorso comporta i necessari ragguagli sulla cultura matematica di Dante. Una cultura non scollegata da altri saperi compresi nel patrimonio degli intellettuali del suo tempo: teologia, logica, fisica, geometria. Per quanto riguarda la geometria, nel Paradiso, versi 101-102, viene enunciato il problema “…se del mezzo cerchio far si puote – triangol sì ch’un retto non avesse”, ovvero “se si possa inscrivere in un semicerchio un triangolo non rettangolo”.
Da un problema geometrico alla geometria euclidea
A questo punto gli autori, divagando dal tema del libro, cosa di cui poi si scusano, introducono un excursus sugli Elementi di Euclide. Però non avevano motivo di scusarsi. Infatti anche questa è una suggestione matematica, suggerita dal testo dantesco che rimanda a un oltre se stesso. Rimanda cioè alla presenza della geometria euclidea nel tardo Medioevo grazie a una serie di traduzioni in latino non dal greco, ma dall’arabo. Sulla base delle traduzioni Dante conobbe Euclide. Lo cita fra gli “spiriti magni” come “geomètra” nel IV canto dell’Inferno al verso 142.
La matematica dei filosofi
A Dante giunge anche la matematica del mondo classico rivisitata dai pensatori cristiani: Pitagora e Platone vengono reinterpretati alla luce della Bibbia. Nel Convivio il poeta teologo proclama l’aritmetica “regina di tutte le scienze” perché consente di avvicinarsi al divino mistero dell’universo. In lui, notano gli autori, vi è una vera e propria “forma mentis matematica”. Il numero nove ricollega i suoi incontri con Beatrice, avvenuti ai nove e ai diciotto anni di lei, agli influssi celesti, essendo nove i cieli, e alla Trinità, essendo tre la radice del nove. Per quanto riguarda poi non la matematica, ma la geometria, Dante la vede fondata su aporie, ossia sulle difficoltà inerenti al punto e al cerchio. Il punto non è divisibile, quindi non misurabile. Il cerchio è impossibile da quadrare. Proprio l’incommensurabilità e l’impossibilita diventano anch’esse materia di poesia.
La matematica dei mercanti
A Dante ovviamente non è estranea la matematica dei mercanti. Il poeta teologo vive nel periodo dell’ascesa della borghesia mercantile fiorentina. Per il commercio e per le banche il calcolo diventa fondamentale e lo è nelle nuove forme rese possibili dal Liber Abaci di Leonardo Fibonacci, divulgatore della notazione posizionale araba a superamento della notazione additiva romana. Gli autori si soffermano sulle innovazioni introdotte in seguito a ciò nell’insegnamento, ben diverso da quello meramente teorico:
“L’insegnamento avveniva mediante l’esposizione ripetuta di casi esemplari. Lo scolaro, esercizio dopo esercizio, imparava ad assimilare le procedure per trattare i problemi della propria vita professionale. Oltre alle quattro operazioni e al calcolo frazionario, imparava a calcolare gli interessi, a effettuare i cambi di monete, a realizzare misure di vario tipo.”
Segue una digressione sul famoso problema dei conigli contenuto nel Liber abaci, ossia quanti conigli produca una coppia di conigli in un anno.
Concezioni del numero
In questo capitolo si ripercorre la storia dei modi in cui veniva concepito il numero a partire da Pitagora. Fin da allora si vedeva nel numero qualcosa di divino e nello stesso tempo di inquietante. L’inquietudine derivava da ciò che allora non si riusciva a spiegare, come nel caso della radice quadrata di due. Gli autori si soffermano poi sulle differenze fra gli animali subumani, che non vanno oltre la capacità di riconoscere la numerosità ovvero le diverse quantità di elementi all’interno di insiemi, e gli esseri umani, che le neuroscienze dimostrano capaci di elaborare sistemi simbolici atti a superare i limiti biologici cerebrali.

Giuseppe Peano
Da Dante a Peano
Di qui si passa alla citazione di un passo di Paradiso, XV, 55-61. Cacciaguida sa ciò che Dante crede al suo cospetto: crede che il pensiero di lui anima beata derivi direttamente da Dio con la medesima necessità con cui dall’uno derivano il cinque e il sei. Il passo induce a pensare al principio d’induzione di Giuseppe Peano, in base al quale “ogni insieme di numeri naturali che contenga uno e il successore di ogni proprio elemento coincide con l’intero insieme dei numeri naturali”. Ecco dunque un’altra suggestione che proviene agli autori dal testo dantesco. Un altro spunto per passare dalla poesia alla matematica e ritornare poi alla poesia. È questa la duplice direzione delle suggestioni.
Beatrice e i numeri primi
In Paradiso, XXVII, 115-120, Beatrice spiega a Dante che il movimento del Primo Mobile, nono cielo, non è misurato da alcun altro cielo, anzi è misura dei loro movimenti “sì come diece da mezzo e da quinto”, cioè come il dieci è il prodotto della sua metà e della sua quinta parte. Ancora una volta Dante si serve della matematica per esprimere il senso di una realtà così rigorosa da non tollerare infrazioni e deviazioni, come lo è il prodotto della moltiplicazione di due numeri primi. Di qui gli autori prendono spunto per soffermarsi sulla Teoria dei Numeri. Ricordano fra l’altro la Congettura dei numeri primi gemelli. Sottolineano la difficoltà, se non l’impossibilità, di stabilire tutte le proprietà dei numeri primi. L’ipotesi di Riemann, che riguarda la legge con cui i numeri primi si susseguono, continua a restare tale. Gli autori poi divagano ancora, ricordando i problemi e i giochi matematici che appassionavano il Medioevo. Non solo per diletto, ma anche per stimolare l’intelligenza degli scolari, come si ricava, ad esempio, dalle Propositiones ad acuendos juvenes di Alcuino.
I numeri e l’infinito
In Paradiso, XXVIII, 88-93, Dante vuole evocare l’infinità delle intelligenze angeliche, raffigurate come sfavillanti scintille il cui numero “più che il doppiar degli scacchi s’immilla”. La scacchiera conta sessantaquattro caselle. Si narrava nell’antichità che l’inventore degli scacchi chiese a un re un premio per la sua invenzione. Tanti chicchi di grano quanti avrebbe potuto ottenerne mettendone uno sulla prima casella, due sulla seconda, quattro sulla terza, otto sulla quarta, e così via, raddoppiando il numero dei chicchi di casella in casella fino alla sessantaquattresima. Il re incautamente promise di concedergli il premio richiesto. Purtroppo ignorava a cosa potesse condurre “la somma dei primi 64 termini della progressione geometrica dei doppi a cominciare dall’unità”. Pur volendo, non poté mantenere la promessa: il numero dei chicchi finiva con l’ammontare a “circa diciotto miliardi di miliardi”. Dante vuole andare oltre quell’enormità e conia perciò il neologismo “immillarsi”. Di “s’immilla” gli autori offrono questa spiegazione:
“Dante doveva avere un’idea che quel numero fosse enorme. Ma è ben difficile che sapesse calcolarlo. Eppure non si accontenta di questo numero esagerato. Non raddoppia ad ogni casella (più che il doppiar), ma moltiplica per mille (s’immilla)”.
Probabilità, logica, certezza della conoscenza matematica
L’accenno al gioco dei dadi (Purgatorio, VI, 1-3) dà agli autori lo spunto per ricordare la nascita della Teoria della Probabilità ad opera di Girolamo Cardano e i successivi sviluppi di tale disciplina fino a Bruno De Finetti. L’episodio di Guido da Montefeltro (Inferno, XXVII, 112-123) riguarda invece la logica. Guido da Montefeltro, indotto dal Papa Bonifacio VIII a peccare con la promessa di assolverlo, gli diede un consiglio fraudolento. Alla sua morte un diavolo rivendicò la sua anima, perché è contraddittorio volere il peccato e pentirsene nello stesso tempo. Così il diavolo si mostrò maestro di quella logica che era un lascito dell’antichità, come gli autori sottolineano. In Paradiso, XVII, 13-18, Dante si rivolge a Cacciaguida per conoscere il proprio futuro, dal momento che la mente del suo trisavolo legge in Dio gli eventi prima che si verifichino, e li legge con quella chiarezza e certezza assolute con cui le menti terrene vedono “non capere in triangol due ottusi”. Ciò secondo il sapere geometrico dell’epoca fondato su Euclide. Che un triangolo non possa contenere due angoli ottusi era il quinto postulato di Euclide, postulato la cui negazione ha dato origine alle geometrie non euclidee.
Dalla forma del mondo alla forma di Dio
Circa la forma del mondo secondo Dante gli autori citano Horia-Roman Patapievici. Questi ritiene che l’universo dantesco fosse quadrimensionale ovvero un’ipersfera. Dalla discussione su questa ipotesi si passa infine a Paradiso, XXXIII, 133-138, versi nei quali Dante enuncia la difficoltà di vedere come la figura di Cristo incarnato si adatti al cerchio centrale della Trinità. Difficoltà evocata con la similitudine del geometra che invano cerca di trovare la quadratura del cerchio. Scrivono gli autori:
“Dante ci dice: io volevo penetrare con i miei occhi e il mio intelletto di uomo mortale il mistero della umanità e della divinità di Cristo. Ma sono nelle stesse condizioni del geometra che vuole trovare la formula per misurare esattamente il cerchio. Cosa impossibile, perché, come ogni studente sa, la formula dell’area del cerchio è raggio al quadrato moltiplicato pigreco. E pigreco è un numero irrazionale […]”
È l’occasione anche per ricordare che dopo i Babilonesi e gli Egiziani il genio di Archimede trovò il metodo per approssimarsi il più possibile al valore di pigreco. Ricerca che con i moderni calcolatori giunge a miliardi di cifre, restando sempre approssimata.
Conclusioni
Si è scritto, si scrive e si scriverà tanto su Dante. Sembra impossibile che in due sole pagine si possa riuscire a raffigurarlo come uomo di straordinaria cultura oltre che sommo poeta. Guido Trombetti e Giuseppe Zollo vi riescono. Piace citare dalle due pagine conclusive del volume il passo finale con il suggestivo confronto fra Dante e Peano:
“Dante non è un Peano ante litteram, né un veggente. È solo un poeta che fantastica sull’immagine dei numeri naturali che corrono verso l’infinito. D’altra parte, anche Peano avrà pur fantasticato sulla successione infinita dei numeri naturali prima di scrivere i suoi assiomi. La differenza sta tutta lì. Dopo la fantasia Peano ha fatto matematica, Dante ha fatto poesia.”
Utilità dell’opera ai fini didattici
L’opera di Trombetti e Zollo è densa di possibilità didattiche. Sono chiamati in causa i docenti di italiano e i docenti di matematica delle scuole secondarie superiori. Collaborare alla luce della matematica in Dante susciterebbe interesse e attenzione nei giovani. Superare la separazione fra discipline consentirebbe di aprire spazi cognitivi secondo modalità nuove. Nello stesso tempo la serietà di questa sinergia verrebbe a contrapporsi utilmente a una sovrabbondanza di celebrazioni aberranti, che distorcono i valori poetici, politici e sacrali della Divina Commedia, giungendo a fare di essa oggetto di mercato.
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