Testimonianze di scuola e di vita. La scuola degli idealisti non fu una scuola ideale
Da qualche tempo leggendo i giornali, ascoltando la radio, mentre seguo un programma televisivo, mi succede il poco gradito fenomeno di ricordare episodi sgradevoli del passato, la maggioranza dei quali sono avvenuti nelle scuole che ho frequentato o, comunque, sono legati strettamente alla mia “professione” di studente post-elementare e pre-universitario.
Inizio citando un articolo, apparso sui fogli di un quotidiano a diffusione nazionale, col quale si elogiava, certamente oltre i suoi meriti (che ci sono stati), un intellettuale abruzzese che contribuì alla stesura della riforma dell’ordinamento scolastico, avvenuta circa un secolo fa, la quale venne alla luce col peccato originale di porre, la lingua latina, al di sopra di tutte le discipline scolastiche. A seguire, le dichiarazioni verbali di un famoso giornalista che, se non ricordo male, è stato anche direttore, il quale citava come esempio di eccellenza la suddetta riforma.
Forse è stato allievo del Liceo Classico e quindi posso capirlo.
Quella scuola mantiene quanto promette, però se ritiene di essere un ammiratore della cultura classica, dico attenzione che gli esponenti di questa non sono soltanto Omero, Sofocle, Euripide, Virgilio, Cicerone e….Costoro ne rappresentano soltanto l’aspetto “umanistico” , cultura classica significa anche Eudosso, Euclide, Archimede, Apollonio, Diofanto e perchè no? Eratostene! Ma dubito che quel signore abbia conoscenze in questo campo… Non sono poche le persone che dicono di amare e di possedere una cultura classica e poi, alla prova dei fatti, disconoscono persino l’enunciato del teorema di Pitagora!
Tornando alla riforma, sento il dovere di precisare che gli Istituti Tecnici erano ben concepiti!
Lo dico perché ho insegnato per qualche anno all’Industriale, all’Agrario, al Tecnico per Geometri. Assurdo il divieto quasi totale di iscrizione all’Università per i loro diplomati. Per quanto riguarda il Classico, non ho ancora incontrato un diplomato che ne sia uscito deluso. Il boccone avvelenato, l’istituto programmato allo scopo di rendere difficile la vita ai futuri (odiati) positivisti fu, guarda caso, ironicamente chiamato “liceo scientifico“.
Ancora più discutibile il titolo “Il liceo classico una barriera eretta a difesa della democrazia e della libertà” di uno scritto apparso sul quotidiano più diffuso della mia regione.
Ho conservato gelosamente per molti mesi quel foglio, esempio di un articolo la cui redazione è avvenuta, certamente, per seguire la moda di accreditare virtù miracolose alla conoscenza del latino e del greco antico anche se studiate singolarmente, conoscendole entrambe sarebbe come avere il mondo nelle proprie mani.
Forse avrà convinto qualcuno, non me che ricordo benissimo quanto accaduto il triste giorno del dieci giugno 1940.
Appena finito il discorso fragorosamente preannunciato del capo del governo, numerosi giovani lasciata la piazza, ove era posto un altoparlante, si sono precipitati nelle strade circostanti, in una delle quali abitava la mia famiglia, sventolando delle bandierine col tricolore e gridando a squarciagola: guerra! guerra! guerra!… Quei giovani erano quasi tutti studenti delle superiori. Mia sorella, che frequentava il Liceo Classico Cutelli di Catania, disse che da vari giorni i suoi compagni di istituto aspettavano l’evento e che i più accesi (due cicli di storia romana minuto per minuto avevano dato i frutti desiderati dal regime) erano pronti ad arruolarsi come volontari. Poco tempo dopo venne a sapere che alcuni di essi avevano mantenuto la parola.
Il fanatismo, di qualsiasi genere, non ha niente da condividere con la democrazia e con la libertà.
In epoche più recenti (anni ’70-’80), in quello stesso istituto si sviluppò un movimento politico i cui componenti, tutti estremisti, non si limitavano a discutere soltanto con le parole.
Poiché sono sicuro che nel futuro, come avvenuto nel passato, qualcuno a corto di idee originali e costretto a scrivere oppure a dire qualcosa, proverà a rispolverare argomenti di quel tipo, dato che siamo in periodo di pandemia, provo a vaccinare i lettori di queste righe contro le manifestazioni nostalgiche, raccontando in sintesi la mia infelice esperienza.
Il dieci giugno avevo meno di cinque anni. La guerra ha stravolto il mio avviamento allo studio e debbo all’affetto e alla voglia di insegnare di mia sorella (maggiore di dodici anni), se ho imparato bene a leggere, a scrivere e a far di conto, motivo per cui passo al tempo in cui ero tutto dedicato a superare l’esame di ammissione alla scuola media. Proprio allora avvenne un fatto che decise la mia vita. Salto i particolari. Un signore molto istruito, nell’intento di mettermi in difficoltà, mi pose una domanda da terza media. Avendo risposto subito e correttamente, il mio interlocutore superata la sorpresa, esclamò con tono imperioso: tu devi andare al liceo scientifico!
Così iniziai gli studi regolari con la precisa e incrollabile decisione di seguire quanto mi si era ordinato.
L’anno scolastico 1946-47 per me iniziò con la prima lezione di latino. L’insegnante (una donna sulla quarantina) ci disse che eravamo dei privilegiati, perché la conoscenza della lingua degli antichi romani ci avrebbe permesso di raggiungere i gradi più elevati della classe dirigente, pertanto rivolse a tutti noi il consiglio di spendere le nostre migliori energie intellettuali per apprenderla e dedicare il minimo impegno per le altre materie. A questo punto un ragazzino chiese come comportarsi con la matematica. La risposta fu immediata: lascia stare la materia dei venditori ambulanti! Alla sua prima lezione, il seguace di Pitagora espose in breve il programma e, al fine di conoscere lo stato della nostra preparazione, assegnò alcuni esercizi per la lezione del giorno successivo. L’indomani appena entrato in classe ebbe inizio l’operazione verifica, preso atto che soltanto in quattro avevamo svolto i compiti, il professore rimproverò aspramente gli astenuti.
Uno di questi parlò!
Quel gran signore ascoltò silenziosamente e poi, controllando la rabbia, con calma disse: cari ragazzi tutti noi abbiamo sofferto la guerra, io con l’uniforme e voi con poco cibo, pronti a cercare un rifugio al primo suono della sirena, ancora oggi andate in giro circondati da tante macerie. Sappiate che questi disastri sono avvenuti perchè in Italia c’era troppa gente che sapeva di latino e troppo poca che sapeva di matematica! Da quel giorno per quella insegnante non ci fu alcuna stima da parte mia, lei d’altronde non fece niente per smussare l’impatto con la nuova materia. Era un rullo compressore, in quasi due settimane aveva già finito tutte le declinazioni e iniziato, trionfalmente, con le coniugazioni, seguite a ruota dalle….persecuzioni.
La mia reazione iniziale fu di rigetto, poi ho accettato la sfida intellettuale della traduzione latino-italiano, però mi si rivoltava lo stomaco solo al pensiero di operare in senso inverso. Latino, latino e ancora latino, infatti erano tre le prove a cui venivano sottoposti gli studenti del “liceo scientifico” alla maturità, due scritti più l’orale che si svolgevano in tre giorni distinti.
Tornando alla famosa riforma, tanto cara al direttore emerito, va detto che quella sopravvisse all’autore (ucciso per le sue idee politiche in uno dei momenti più bui della nostra storia; Firenze 15 aprile 1944). Per più di venti anni, i molti governi che si sono dati il cambio dal 1945-46 al 1968, costituiti da persone quasi tutte in possesso di una cultura scientifica molto limitata, non trovarono di meglio che inasprire ulteriormente, anno dopo anno (facendo crescere a dismisura la quantità dei nomi, delle date e dei fatti da ricordare) la difficoltà dell’esame di Stato, al punto che il nostro professore di matematica e fisica, commentando le disposizioni governative per gli esami che dovevamo affrontare, ebbe a dire: vogliono fare di voi delle enciclopedie ambulanti, per loro il cervello umano non è l’organo ove nascono e si elaborano le idee ma soltanto un sacco da riempire.
L’unico merito del famigerato “68” fu aver posto fine a quella barbarie.
Sulla scuola dei miei tempi mi sono “esercitato” in precedenza mediante una lettera, inviata anni fa, ad un Ministro competente appena insediato, invitandolo a sostituire all’idea di scuola che forma e quindi che appiattisce, quella di una scuola che tende a “coltivare” le tendenze personali.
Non ho ricevuto risposta diretta, però l’insegnamento delle scienze al liceo scientifico è stato potenziato, ma non è il caso di illudersi, può essere stata soltanto una fortuita coincidenza. Per essere convincente ho narrato le amare vicissitudini di uno studente, col cervello adatto a studiare scienze, il quale va a frequentare un liceo, pomposamente chiamato scientifico, e scopre con immenso dispiacere di essere finito in una scuola… poetica. Poesie su poesie in tre lingue, in italiano, in latino, in francese. A questo punto sento il dovere di confessare che io amo la poesia, a dodici anni ho letto di mia volontà l’Iliade in edizione integrale, l’anno successivo ho ripetuto la stessa operazione con l’Odissea; quando mi capita recito a memoria alcune poesie del conterraneo Nino Martoglio, scritte mirabilmente in siciliano, ma non ho mai covato l’illusione di comporre.
Per descrivere il mio disappunto proseguo riportando, quasi integralmente, quanto trasmesso al Capo del Dicastero competente, subito dopo l’insediamento di un nuovo Governo.
Finalmente, dopo decenni di ingiustificata avversione, l’opinione pubblica italiana dà timidi segni di ravvedimento e sembra rendersi conto dell’importanza e del valore formativo dell’insegnamento scientifico. Le indagini statistiche danno risultati deludenti, le conoscenze scientifiche dell’italiano medio occupano un posto di seconda classe fra quelle relative ai cittadini delle nazioni più sviluppate e sono inferiori a quelle di numerose nazioni emergenti. Come e perchè si è generato il poco esaltante fenomeno? La risposta va ricercata nell’esito, sventurato, del conflitto ideologico fra “filosofi” positivisti e idealisti combattuto all’inizio del ventesimo secolo. Uno dei motivi del contendere era quello di stabilire in che misura dosare l’insegnamento delle scienze; i positivisti affascinati dalle scoperte teoriche e sperimentali, oltre che dalle invenzioni del secolo appena trascorso, proponevano di estenderlo e potenziarlo. Gli idealisti, bramosi di cattedre, si opponevano con motivazioni fumose, autentiche esercitazioni verbali. Provo difficoltà a chiamarli filosofi perchè hanno respinto l’ideale di Talete, secondo il quale il FILOSOFO ama tutto il sapere senza eccezioni; loro odiavano la scienza alla quale negavano validità in assoluto; Archimede, Galileo, Newton non valevano più di un idraulico o di un ciabattino. L’avvento di un idealista al Ministero della Pubblica Istruzione segnò, in concreto, la sconfitta dei positivisti; la susseguente riforma degli anni venti cancellò il glorioso FISICO MATEMATICO, dal quale uscirono molti matematici di livello mondiale, che fu malamente sostituito dal cosiddetto liceo scientifico (inventato per l’occasione) e rese poco più che simbolica, nelle medie e nei licei, la presenza dei laureati provenienti dall’area scientifica; ad esempio: in ogni sezione del nuovo istituto, nelle classi dalla seconda alla quinta, operavano due professori di lettere italiane e latine, uno di storia e filosofia, uno di lingua straniera, uno di disegno(artistico), uno di religione, uno di ginnastica contro uno solo di fisica e matematica a cui si aggiungeva un insegnante di scienze naturali, in termini calcistici: sette a due, nel confronto diretto (latino+italiano) contro (matematica +fisica) il risultato era un eloquente 2-1. Per chiarire le idee, gli idealisti sostenevano che le scienze non danno vera conoscenza, perchè espresse tramite pseudoconcetti; infatti le scienze sperimentali poggiano su concetti empirici non universali, la matematica usa concetti universali privi di concretezza, pertanto le scienze appartengono alla “pratica” e non alla gnoseologia. Secondo loro le vere conoscenze vengono dalla storia e dalla filosofia, entrambe capaci di formulare veri concetti sintesi di individuale e di universale, dimenticando che l’unica affermazione filosofica mai contestata è il “cogito ergo sum”, formulata da un signore di nome René e di cognome Descartes che, guarda caso, era anche un matematico. In base a queste teorie i malcapitati studenti, del liceo scientifico, dopo aver studiato storia alle elementari e alle medie, furono costretti a ristudiare storia partendo dalle origini e poi, per tre anni consecutivi: storia, storia della filosofia, storia della letteratura italiana, storia della letteratura latina, storia di una letteratura straniera, storia dell’arte nascosta nel corso di disegno e ancora storia nel corso di religione; inventori e scienziati meritavano l’oblio, per i grandi nome e cognome erano più che sufficienti. Aristarco di Samo, Copernico, Galileo, Keplero e Newton hanno svelato molti segreti del sistema solare, nella scuola dei miei tempi non si parlava di Aristarco, si studiava Galileo in letteratura italiana, le scoperte di Copernico e Keplero erano argomento delle scienze naturali, soltanto quelle di Newton trovavano la giusta collocazione nel corso di fisica. Sulla relazione esistente fra le leggi di Keplero e quella di gravitazione, una delle più avvincenti scoperte della matematica, che ha il pregio di essere dimostrabile anche allo scientifico (basta introdurre le coordinate polari) l’orario scolastico, drasticamente tiranno, imponeva un silenzio tombale; infatti le ore settimanali di matematica dalla prima alla quinta erano 5,4,3,3,3 quelle di fisica dalla terza alla quinta 2,2,2. Il movimento rotatorio di un corpo, ad esempio quello rigido di una porta o di un albero motore come quello leggiadro e svolazzante di una ballerina, dipende da una grandezza fisica chiamata “momento di inerzia”, che non trovò posto nei programmi ministeriali, assieme ai tre operatori classici: gradiente, rotore e divergenza, per il solito motivo .
Il tempo non mancava per le banalità, come sparlare sulla paternità del Manzoni, citare varie ipotesi sulla identità del “veltro” e sul significato del “papè satan, papè satan aleppe”, descrivere la famiglia di Beatrice, leggere Orazio, Virgilio e Lucrezio secondo i più rigidi canoni della metrica latina, elencare le stramberie di J.J.Rousseau e di F.M.Voltaire e potrei continuare per pagine e pagine. Un trattamento speciale fu riservato alla matematica definita “arida e astratta”, attributi mai usati per la filosofia, ed inoltre considerata materia per intelligenze di seconda scelta incapaci di superare l’ostacolo del greco. Andava pure di moda l’aforisma/o: verus mat(h)ematicus verus asinus! Era questa l’aria che si respirava nella società, e in maggior misura nella scuola, per gli otto(3+5) anni durante i quali varcai la soglia della media e di quel liceo spudoratamente detto scientifico. Quell’arco di tempo, nonostante la verde età, le grandi scoperte e le straordinarie persone che ho conosciuto, non fu particolarmente felice. Una soltanto la causa del mio duraturo disagio: la quasi continua espiazione di una colpa inestinguibile, ero un “pochino” bravo in….matematica! (e poi anche in fisica) quel tanto che mi permetteva di conseguire in quelle materie i migliori risultati. Non che questo fosse vietato esplicitamente, non si arrivò a tanto, però la mia assoluta preferenza verso “quel tipo di studi” venne contrastata in tutti i modi. Secondo una regola non scritta quelli come me andavano stroncati, più volte fui sul punto di lasciare. Quella scuola che aveva la pretesa di “formare” e da cui mi aspettavo tanto, non funzionò da volano per la mia crescita, al contrario, essa costituì il disco di un freno che agì, pesantemente, proprio in quella stagione della vita quando è ancora massima la capacità di apprendimento. La prova certa di essere, in quella scuola votata alla retorica, un corpo estraneo, la ebbi in terza media quando salvai l’onore della classe. Un giorno, accompagnato dal preside, venne a farci visita in classe un ispettore; poichè era arrivato durante la lezione di disegno ed eravamo alle prese con le proiezioni ortogonali, questi invitò un volontario a tracciare alla lavagna la pianta del tavolo posto sopra la predella. Quasi tutti alzammo il dito. Chiamati dall’insegnante, provarono almeno venti alunni che, uno dopo l’altro, fallirono. Fu l’ospite a indicarmi la lavagna e fu allora che apparve la pianta richiesta, invano attesi dal professore e dal preside un segno di compiacimento, ci pensarono i compagni a farmi festa. Maturo con otto in matematica e fisica, laureato con lode, vincitore di alcuni concorsi, mi sono dedicato all’insegnamento e alla ricerca, ottenendo in entrambe le attività alcune soddisfazioni. Adesso, superata l’età pensionabile, è tempo di bilanci e sono tormentato da un forte rimpianto. Mi chiedo spesso: chissà quali traguardi potevo raggiungere se fossi stato allievo di una scuola avente, come scopo principale, la valorizzazione delle capacità individuali. Certamente non sarei divenuto un nuovo Gauss, considerato da molti il più geniale dei matematici, quello alle elementari riscoprì le progressioni aritmetiche, non scherziamo! Però non posso dimenticare che a meno di dieci anni, pur non conoscendo ancora i numeri negativi, a quel signore che mi chiese quanto fa cinque meno otto, risposi come un fulmine: meno tre.Giuseppe Zappalà
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Bibliografia (facilmente reperibile)
- Giuseppe Zappalà. – Restricted total stability and total attractity. Electron J. of Differential Equations. 2006(87) (2006), 1-16.
- Cantarelli and G. Zappalà. – Stability properties of differential system under two constantly acting perturbations. Electron J. of Differential Equations. 2010 (152) (2010) 1-16
- Giuseppe Zappalà. – The strong instability under two constantly acting perturbations. Pioneer J. of Advances in Applied Mathematics.Volume 24, Numbers 1-2, 2018, Pages 9-37.
- Giuseppe Zappalà. – Ludendo discitur; matmedia.it, 2020.
- Giuseppe Zappalà. – La matematica non è soltanto un esercizio; matmedia.it, 2021
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