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Chi ha scoperto il legame tra iperbole e logaritmi?

Chi ed in quale epoca ha scoperto il teorema che lega la quadratura dell’iperbole ai logaritmi? Come insegnare la matematica usando la sua storia!

« Chi ed in quale epoca ha scoperto il teorema {\color{Yellow} logx=\int \frac{1}{x}dx}

L’interrogativo, così posto, è di Nicolas Bourbaki in Elementi di storia della matematica. Un’opera notissima, da includere in ogni possibile lista di grandi classici della letteratura matematica del XX secolo. Raccoglie le note storiche degli Elements de Mathematiques curati dal matematico policefalo. Fu  pubblicata in Francia nel 1960. L’edizione italiana, presso Feltrinelli, è del 1963 ed è pressochè introvabile, oggi.

È una storia tematica.

Newton – Leibniz

Qui, nel passo antologico che segue, il tema generale è lo sviluppo della matematica. In particolare, lo sviluppo del calcolo infinitesimale. Un capitolo di spicco nella matematica, ma anche storicamente pervaso da dispute, controversie e beghe tra i matematici sulla priorità delle scoperte. Sulla natura di tali controversie, abbastanza comuni peraltro nell’ambito matematico, molti autori hanno scritto ritenendole per lo più originate dalle caratteristiche della stessa matematica e dalla conseguente terdenza all’individualismo dei suoi praticanti. C’è anche da dire però che talvolta, l’attribuzione di un risultato a Tizio o a Caio è ascrivibile solo, per dirla con René Thom, ad una delle tante malefatte della Storia.

Bourbaki è del parere che la maggior parte delle questioni di priorità siano del tutto prive di senso.

È ben vero – scrive – che quando Leibniz adottava la notazione dx per il differenziale, ignorava che da una dozzina di anni Newton si serviva di \dot{x} per la flussione; ma che importanza avrebbe avuto il fatto che  egli l’avesse saputo? Comunque sia andata, quelle notazioni sono il grande successo di Leibniz. Rimaste invariate,  consentono, secondo l’efficace battuta di Vladimir Igorevič Arnol’d,  a chiunque, anche a chi non l’ha capita, di insegnare l’analisi matematica  e a gente poi che non la capirà mai.

Bourbaki quale giudice istruttore del processo storico focalizza l’attenzione su un fatto specifico.

Indaga, ricapitola gli avvenimenti e analizza, passo dopo passo, la scoperta della regola per calcolare le aree dei segmenti iperbolici per mezzo dei logaritmi. È una bella pagina di letteratura matematica, quella che ha scritto. C’è storia, filosofia e pedagogia, armonicamente insieme. Una pagina di storia che porta luce in una serie di concetti e questioni che sono centrali nell’insegnamento: l’iperbole, l’area, l’integrale, il logaritmo, la sua base naturale e quella decimale. Non c’è docente che non possa ricavare un qualche giovamento da questa lettura.

Ecco allora, la risposta di Bourbaki all’interrogativo che ha posto.

«La formula, come l’abbiamo indicata, è di Leibniz poiché ambedue i membri sono scritti con sue notazioni. Lo stesso Leibniz e Wallis l’attribuiscono a Gregorio di Saint-Vincent. Questo ultimo, nel suo Opus Geometricum (apparso nel 1647, ma redatto, egli dice, già da molto tempo), dimostra solo l’equivalente di quanto segue: se f(a, b) indica l’area di un segmento iperbolico a ≤ x ≤ b, 0 ≤y≤ A/x, la relazione b’/a’ = (b/a)n fa sì che f(a’, b’)=n· f(a, b); a questo il suo discepolo e commentatore Sarasa aggiunge quasi contemporaneamente l’osservazione che le aree f(a, b) possono dunque “sostituirsi ai logaritmi”.

Se Sarasa non aggiunge altro, e se lo stesso Gregorio non aveva detto nulla, non è forse perché, per la maggior parte dei matematici di quei tempi, i logaritmi erano solo degli  “strumenti per calcolare” senza diritto di cittadinanza in matematica?

Evangelista Torricelli (1608-1647)

È ben vero che Torricelli, in una lettera del 1644, parla delle sue ricerche su una curva che noi indicheremmo con y= ae-cx, x ≥ 0, aggiungendo che mentre Neper (da lui peraltro coperto di elogi) “ricercava solo la pratica aritmetica”, lui stesso “ricavava una speculazione geometrica”; egli ha lasciato un manoscritto su questa curva, preparato evidentemente per la pubblicazione, ma rimasto inedito fino al 1900. Anche Descartes, trovatosi di fronte alla medesima curva fin dal 1639 a proposito del “problema di Debeaune”, l’aveva descritta senza parlare di logaritmi. Ad ogni modo, nel 1667, J. Gregory, senza riportare alcuna citazione, dà una regola per calcolare le aree dei  segmenti iperbolici per mezzo dei logaritmi: il che implica al tempo stesso la conoscenza teorica del legame esistente fra la quadratura dell’iperbole ed i logaritmi, e la conoscenza numerica del legame esistente fra logaritmi “naturali” e “decimali”.

È solo a quest’ultimo punto che si riferiscono le rivendicazioni di Huygens, il quale immediatamente contesta la novità del risultato di Gregory?

Quesito oscuro tanto a noi che ai suoi contemporanei; questi ultimi in ogni caso ebbero la netta impressione che l’esistenza di un legame fra logaritmi e quadratura dell’iperbole fosse cosa nota da lungo tempo, senza potere però su questo argomento far riferimento ad altro che ad allusioni epistolari oppure al libro di Gregorio di Saint-Vincent. Quando, nel 1668, Brouncker (con una accurata dimostrazione di convergenza per confronto con una serie geometrica) dà delle serie per log 2 e log 5/4, egli le presenta come espressioni dei segmenti di iperbole corrispondenti, ed aggiunge che i valori numerici che ottiene sono “ nello stesso rapporto dei logaritmi” di 2 e di 5/4.

Ma in quello stesso anno, con Mercator, il linguaggio cambia.

Più esattamente, cambia con la esposizione del lavoro di Mercator fatta contemporaneamente da Wallis: poiché i segmenti di iperbole sono proporzionali a dei logaritmi, ed è ben noto che i logaritmi non sono definiti dalle loro proprietà caratteristiche che a meno di un fattore costante, nulla impedisce di considerare i segmenti di iperbole come logaritmi,

qualificati come “naturali” ( in contrasto con i logaritmi “artificiali” o “decimali”) o iperbolici.

Compiuto quest’ultimo passo ( al quale contribuisce lo sviluppo in serie di log(1+x) dato da Mercator) il teorema logx=\int \frac{1}{x}dx viene senz’altro ricavato, sia pure con diversa notazione, o, ancor meglio, diventa una definizione.

Cos’altro concludere, se non che la scoperta è stata fatta per passaggi quasi inavvertibili, e che una disputa sulla priorità in questo campo assomiglierebbe molto ad una disputa fra un violino ed un trombone circa il momento esatto in cui un certo motivo appare in una sinfonia?

Infatti, mentre in quello stesso periodo, altre creazioni matematiche quali l’aritmetica di Fermat o la dinamica di Newton, portano un’impronta fortemente personale, lo sviluppo del calcolo infinitesimale nel XVII secolo fa proprio pensare allo svolgersi graduale ed inevitabile di una sinfonia, in cui lo Zeitgeist, al  tempo stesso compositore e direttore d’orchestra, tenga la bacchetta: ciascuno esegue la propria partitura con il suo timbro caratteristico, ma nessuno è padrone dei temi che esegue, temi che un contrappunto sapiente ha quasi inestricabilmente intrecciato.

È dunque in forma di analisi tematica che la sua storia deve essere scritta».

 

Autore

  • Emilio Ambrisi

    Laureato in matematica, docente, preside (dal 1983) e ispettore ministeriale (dal 1991). Dal 2004 al 2015 responsabile, per il settore della matematica e della fisica, della Struttura Tecnica del Ministero dell'Istruzione. Dal 1980 Segretario Nazionale della Mathesis e, successivamente, Vice-Presidente. Dal 2009 al 2019 Presidente Nazionale e direttore del Periodico di Matematiche.

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