Il giorno della catastrofe! L’8 agosto 1900 cambia la matematica. A Parigi, Hilbert dà ai matematici di tutto il mondo la lista dei 23 problemi che devono risolvere.
Innegabile: la matematica che si studia è senza storia! D’altronde essa è solo la mutevole e temporanea organizzazione logica di ciò che sempre è, che è a-storico, che non ha una nascita e non è destinato a morire, che continuerà ad esistere, eternamente. È perfettamente logico, dunque, che nello studio della matematica, a scuola e all’università, i riferimenti a uomini, luoghi e date siano per lo più irrilevanti.
Ciò non toglie che una storia della matematica, scoperta o invenzione che sia, esista e che siano i suoi aspetti umani, geografici e temporali, a conferirle significato e soprattutto vita.
La matematica che vive, che cambia e si trasforma, e talvolta così profondamente che sembra mutare non d’andatura ma di natura – l’espressione è di Michel Serres -, ha nell’8 agosto del 1900 un riferimento temporale niente affatto irrilevante. Ha una data che è un buon esempio di catastrofe nel senso di René Thom; segna un deciso punto di discontinuità nel suo sviluppo e ne determina un cambiamento notevole.
A Parigi, sede dell’Exposition Universelle, in un sala della Sorbona si tiene il secondo Congresso internazionale dei matematici e alle ore 11 di quel giorno, Hilbert dà inizio alla sua conferenza: Mathematische Probleme.

Catastrofe a piega
Ai matematici presenti, nel tempo che gli è assegnato, riesce ad illustrare solo una parte dei 23 problemi che ha elencato nel testo che ha scritto per la conferenza. Sono tutti i problemi che aspettano di essere risolti e dalla loro soluzione dipenderà il futuro della matematica. Un avvenimento eccezionale; senza precedenti e fino ai giorni nostri mai ripetuto. Rimasto unico. Ragione in più perché sia una data da segnare e ricordare.
Se ne è già scritto nell’articolo “I grandi problemi di Hilbert” in cui tra l’altro è stato sottolineato il valore della “lista” come strumento di gestione della complessità. Il successo di Hilbert, infatti, è anche nell’aver scelto di utilizzare uno strumento così semplice e concreto per una delle operazioni più rivoluzionarie mai avvenute nella matematica a livello scientifico, didattico, culturale. La sua lista di problemi è, tra tutte la varie liste che è possibile stilare nella matematica, la più famosa.
Hilbert è un grande matematico, forse l’ultimo a dominare l’intera matematica, ed è anche un insegnante scrupoloso.
Come Felix Klein, suo collega all’università di Gottinga, è un appassionato promotore della didattica per problemi a tutti i livelli. Anzi, la sua conferenza di Parigi, rivolta ai matematici di professione, per come è organizzata appare più finalizzata a sottolineare l’importanza dei problemi che a dare la lista di quelli irrisolti. In quella conferenza tra l’altro Hilbert chiarisce molto bene cos’è per lui un problema che sia adatto ad un bravo ricercatore: è difficile, utile, chiaro e comprensibile, tanto da poter essere spiegato alla prima persona che s’incontra per la strada.
Ecco la parte iniziale della sua conferenza: l’importanza dei problemi.

David Hilbert (1862-1943)
È innegabile che determinati problemi abbiano un alto significato per lo sviluppo della matematica in generale e svolgano un ruolo importante nel lavoro del singolo ricercatore. Un campo della conoscenza è vitale, finché offre un’abbondanza di problemi; una scarsità di problemi significa la sua morte o la fine del suo sviluppo autonomo. Come in generale ogni umana iniziativa persegue degli obiettivi, così la ricerca matematica ha bisogno di problemi. Risolvendo problemi, si tempra la forza del ricercatore: egli trova nuovi metodi e nuove prospettive, e conquista un orizzonte più ampio e più libero.
È difficile, e spesso è impossibile, giudicare anticipatamente il valore di un problema: infatti, alla fine quel che decide è il guadagno di cui la scienza è debitrice al problema. Eppure, possiamo chiederci se ci siano caratteristiche generali che contraddistinguono un buon problema matematico.
Un antico matematico francese ha detto: una teoria matematica non può essere considerata perfetta, finché non è stata resa così chiara da poterla spiegare al primo uomo che si incontri per la strada. La chiarezza e la facile esprimibilità, qui richieste così drasticamente per una teoria matematica, preferirei piuttosto esigerle da un problema matematico che voglia essere perfetto: infatti ciò che è chiaro e facilmente esprimibile ci attrae, ciò che è intricato ci spaventa.
Inoltre, un problema matematico deve essere difficile perché possa eccitarci, e tuttavia non del tutto inaccessibile perché non irrida alle nostre fatiche; deve essere per noi un segnale nei sentieri tortuosi verso le verità nascoste e ci deve ricompensare poi di gioia per la soluzione raggiunta.
I matematici di altri secoli erano soliti dedicarsi con zelo appassionato alla soluzione di difficili problemi particolari: essi conoscevano il valore dei problemi difficili. Ricordo il problema della brachistocrona, posto da Johann Bernoulli. L’esperienza insegna – spiega Bernoulli nella presentazione pubblica di questo problema – che gli spiriti nobili da null’altro vengono meglio stimolati ad operare per l’accrescimento delle conoscenza che dalla presentazione ad essi di problemi difficili e insieme utili. Così egli spera di meritare la riconoscenza del mondo matematico quando (sull’esempio di uomini come Mersenne, Pascal, Fermat, Viviani e altri che già fecero altrettanto prima di lui) presenta agli eminenti analisti del suo tempo un problema sul quale, quasi come su una pietra di paragone, essi possano valutare la bontà dei loro metodi e misurare le proprie forze. A questo problema di Bernoulli e ad altri simili il calcolo delle variazioni deve la sua origine.David Hilbert, Problemi matematici in Ricerche sui fondamenti della matematica, Bibliopolis 1978
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