Chi viene prima, il logaritmo o l’esponenziale? A scuola si apprendono prima le potenze, ma il discorso si può invertire o avere altri inizi.
Il logaritmo e l’esponenziale costituiscono una coppia famosa e inscindibile. Due oggetti matematici che sono l’uno l’inverso dell’altro. Kasner e Newman in Matematica e Immaginazione, parlano dell’esponenziale come della ghiandola pituitaria della matematica, la ghiandola cioè che nell’uomo sovraintende alla crescita corporea. Al logaritmo spetta una funzione non diversa, anzi!
Nell’insegnamento secondario l’itinerario didattico seguito è con gli anni divenuto canonico.
Tramandato, si direbbe, di padre in figlio. Si parte dalle potenze intere an di un numero positivo a, e poi si definisce a1/m = m√a, in modo da ottenere il valore di ar per ogni numero razionale r=n/m. Il valore ax per ogni numero irrazionale x è poi definito in modo da rendere ax una funzione continua di x. Un passaggio questo abbastanza delicato su cui spesso si sorvola. Infine il logaritmo di y in base a, x=logay è definito come la funzione inversa di y=ax.
È questa una parte dell’insegnamento dell’Algebra. Parte di un capitolo che tradizionalmente veniva completato con le applicazioni dei logaritmi al calcolo di potenze e radici e con le illustrazioni dell’uso delle tavole e del regolo calcolatore. Strumenti che la tecnologia ha reso oggi praticamente inutili, oggetti da museo.
Ovviamente più si va avanti negli studi e più si è in grado di inquadrare meglio concetti e teorie e coglierne legami, sfumature, essenza. Courant e Robbins in Che cos’è la matematica? (1941) affrontano la questione dell’ordine e del rigore e così si esprimono:
I concetti fondamentali del calcolo permettono di svolgere una teoria del logaritmo e della funzione esponenziale molto più adeguata di quella “elementare” che è alla base dell’insegnamento nelle scuole.
Un parere che, seguito, realizza una inversione nell’ordine della deduzione.
Si comincia con il logaritmo e poi, verificato che ricorrono le condizioni di invertibilità, si passa alla funzione esponenziale. Il punto di partenza del discorso è, con x>0, la definizione:
Darne la definizione non significa ovviamente conoscere il logaritmo.
Bisogna dirne certamente qualche altra cosa sulle proprietà e su come calcolarlo numericamente. Le conseguenze immediate sono che il logaritmo è una funzione tale che ln(1)=0, che la sua derivata è 1/x e che per 0<x<1 è .
A questo punto c’è una varietà di modi di procedere. Tom M. Apostol (Calcolo, vol 1, Boringhieri, 1977) – altri autori procedono diversamente – applica il primo teorema fondamentale del calcolo per dedurre ln(ab)= ln(a)+ln(b), cioè la proprietà del logaritmo di trasformare la moltiplicazione in una addizione. Apostol si riporta cioè all’additività dell’area che è poi il concetto primario al quale ci si riconduce. In effetti Courant e Robbins avevano ripreso quella che era stata l’idea di Felix Klein esposta nel suo Matematiche elementari da un punto di vista superiore del 1908.
Il logaritmo è definito come un’area; ricondotto al concetto primario di area. Quindi all’iperbole, agli inversi, alla somma della serie armonica. L’idea originaria di Klein ripresa da Courant e Robbins prescinde dagli strumenti dell’Analisi e dall’integrale. Strumenti peraltro introdotti nell’insegnamento secondario proprio su proposta di Klein, il più autorevole docente di matematica del suo tempo, nei primi decenni del XX secolo e tuttora “colonne d’Ercole” dell’insegnamento pre-universitario. Una descrizione della proposta di Klein si trova nell’articolo Logaritmi di Aldo Finzi dell’Enciclopedia delle Matematiche Elementari e Complementi della Hoepli – il monumento elevato alla matematica italiana nella prima metà del XX secolo.
Eppure a parte qualche sfuocata e secondaria comparsa precedente, il logaritmo s’impose sulla scena matematica, solo nel XVII secolo. Come? In un modo che non ha nulla a che fare con aree, potenze e esponenti. E quindi neppure con l’iperbole [Vedi]
Il modo in cui si presentarono i logaritmi è descritto nel loro atto di nascita: il lavoro del nobile scozzese John Napier, Mirifici logarithmorum canonis descriptio (Descrizione della regola meravigliosa dei logaritmi) pubblicato nel 1614.
Regola meravigliosa!
Una regola che è la bella favola della matematica. Ambientata in castelli anche lontani, ma abitati da principi della scienza, uno in Scozia, l’altro a Praga: la reggia dove lavora Keplero. Per il racconto di questa favola ci si può affidare se non al documento originario almeno all’opera che è stata la fonte alla quale gli autori successivi si sono abbeverati. Ovvero a Florian Cajori e alla sua storia del 1893:
Ecco l’idea di Napier come la espone Cajori
Il ragionamento di Napier affonda le sue radici nell’humus delle progressioni aritmetiche e geometriche
Presenta altresì le caratteristiche che sono proprie del periodo storico e che si ritroveranno in Newton, nelle sue fluenti e flussioni. Da qui si comprende anche il perchè del nome logaritmo, coniato da Napier: sta per “numero del rapporto”. Interessante è poi darsi una ragione del perché Napier li chiamasse anche “numeri artificiali”
Quando si parla di oggetti della matematica, della loro natura ed evoluzione il discorso è sempre interessante sul piano pedagogico. Nel caso poi del logaritmo l’evoluzione è tale che la stessa sua natura ne rimane coinvolta. Il logaritmo come esponente è successivo, prodotto dell’evoluzione. La storiella che segue ha anch’essa il suo fascino, tant’è che non sono pochi gli autori che la riportano e gli studenti che una volta che l’hanno appresa sono spinti a desiderare di saperne di più.
La favola ha il suo completamento nell’episodio che coinvolge Henry Briggs l’altro titolare dei logaritmi, quelli in base dieci.
Il prima e il dopo nell’organizzazione del discorso matematico è tra le questioni fondamentali da affrontare.
Da un punto di vista didattico quello che interessa però non è tanto stabilire quale deve essere il concetto primario e quale quello secondario. Questione in ogni caso importante insieme al lessico e al significato, anche applicativo, storico, socio-culturale di ciò di cui si va parlando. Il problema è come favorire la pluralità delle connessioni concettuali e procedurali, per costruire una solida trama di ragionamenti ripercorribili nelle loro inferenze logiche, genetiche, psico-genetiche. Come fare in modo che, all’occorrenza, pezzi di memoria possano essere richiamati, messi insieme, combinati tra loro, come se si trattasse di palle con cui il giocoliere eserciti le sue abilità
Nell’esperienza didattica di Emma Castelnuovo ai concetti di area e perimetro si giunge trattandoli insieme, ponendoli a confronto.
Per Zofia Krygowska le operazioni aritmetiche si comprendono meglio se insegnate a coppie: diretta e inversa. La reversibilità, insieme alla invarianza, è la caratteristica che fa da guida al fare matematica. A rifletterci, anche il “gruppo” si costituisce quando la struttura, operativamente chiusa, include gli inversi. Ed è l’esistenza di quest’ultimi che consente di risolvere le equazioni e fare matematica. Più in generale si dovrebbe insegnare a leggere e operare nei due versi, da sinistra a destra e da destra a sinistra.
In ogni caso nessun itinerario didattico è fisso.
Nessuna inferenza è dettata da ragioni ontologiche tale fa farla ritenere più “naturale” di altre. La naturalezza della scoperta matematica, del fare matematica è fatta di legami, di punti di vista, di chiarezze che saltano fuori immediate e talvolta imprevedibili. È come quando un insegnante che ha spiegato per tante volte un argomento si accorge infine di qualcosa a cui non aveva affatto pensato. Talvolta, addirittura di averlo capito per la prima volta nell’atto di spiegarlo ai propri allievi.
La stessa storia è maestra in questa imprevedibilità, in questo andirivieni di caso e necessità. L’origine del logaritmo è emblematica al riguardo. È tutta la successiva maturazione, operativa e concettuale, ad averne determinato il come insegnarlo. Non si hanno tutti i torti quando si afferma che l’insegnamento è, dopotutto, un “artefatto”, una finzione, alterazione della storia. O anche, per dirla col Novalis, ciò che si insegna è la matematica della matematica.
In definitiva quello che emerge è che sulla scena didattica il logaritmo, con tutta la sua storia, s’impone come punto di accumulazione, tale cioè che in ogni suo intorno si addensano e cofluiscono una serie diffusa di concetti e procedure. Un focal point dunque, o anche anche un “nodo concettuale” nell’accezione più propria di punto della “rete”. E a tale funzione esso si presta per ogni scelta di progettazione didattica.
Aggiunte
- Chi è interessato a seguire un itinerario che parta dalle progressioni geometriche può consultare: Bruno de Finetti, Matematica logico intuitiva, Cremonese, 1959. Il punto di vista è quello che de Finetti mutua da Felix Klein. Dalle progressioni geometriche, all’equazione funzionale f(x+y)= f(x)·f(y), alle funzioni esponenziali e alla loro caratteristica di avere sottotangente costante (uguale a 1 nel caso della base e) e, dunque, la funzione inversa, il logaritmo, e l’equazione funzionale lo f(x·y)=f(x)+f(y)
2. Sul significato di fare matematica
Nel 2016, si è espresso un gruppo di docenti in un corso di formazione Mathesis. A distanza di quattro anni sarebbe il caso di riproporre l’indagine eventualmente su un campione più vasto. [Vedi]
3. Sull’origine di «logaritmo» il risultato della ricerca effettuata da Biagio Scognamiglio:
«Si sa che l’etimologia dell’italiano algoritmo rimanda ad al-Khuwārizmī , matematico arabo. Ma rimanda anche al successivo latino medievale algorithmus a sua volta ricollegatosi all’indietro al greco αριθμός.
Possiamo ipotizzare che il latino medievale si sia ispirato a logaritmo (da λόγος + αριθμός), visto che algo– è l’anagramma di –loga.
In altre lingue europee ritroviamo algorithm (inglese),
algorithme (francese), algorytm (spagnolo), Algorithmus (tedesco).
Possiamo parlare dunque di una estensione linguistica storicamente internazionale della matematica che parte, per così dire, da un gemellaggio trigemino greco-latino-arabo. La matematica è senza frontiere!».
4. Ecco infine la definizione di Giuseppe Peano, in riproduzione del Formulario Mathematico, Cremonese, 1960:
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