Momenti di cambiamento: Lewis Carroll e il suo “doppio” Ch. L. Dodgson. Insegnare matematica con il sorriso, incuriosendo e divertendo.
Per molti matematici di professione, Jean Gattegno (1935 – 1994) è un personaggio pressoché sconosciuto.
Non è così per Caleb Gattegno (1911 – 1988), matematico egli stesso e pedagogista di fama. La notorietà di Caleb è legata al movimento per il rinnovamento dell’insegnamento matematico e alla costituzione, nel 1950, insieme a Jean Piaget, Jean Dieudonnè, André Lichnerowicz e Gustave Choquet, della CIEAEM (Commission Internationale pour l’Etude et l’Amélioration de l’Enseignement des Mathématiques) ancor oggi molto attiva. Ben conosciuti sono anche i moduli di Cuisenaire-Gattegno tuttora utilizzati nelle scuole dell’infanzia e primarie per l’insegnamento dei primi elementi di aritmetica ai bambini.
Non come Caleb, ma un posto di riguardo nella memoria dei matematici, in particolare di quelli che hanno a che fare con l’insegnamento e le questioni didattiche, spetterebbe però anche a Jean Gattegno, intellettuale francese versato nella letteratura inglese, che ha svolto anche un ruolo importante nella vita pubblica del suo Paese. La ragione per cui dovrebbe essere maggiormente noto ai matematici e ai docenti di matematica è il contributo da lui dato alla conoscenza di Lewis Carroll, l’autore di quei famosissimi libri: Alice nel paese delle meraviglie (1865), Attraverso lo specchio (1871), La caccia allo Snark (1876), Sylvie e Bruno (1889?), che per unanime giudizio non avrebbero potuto nascere se non dalla penna di un matematico.
Ed è opinione dominante, pur con qualche dubbio che ogni tanto affiora, che il matematico in questione sia Charles Lutwidge Dodgson (1832 – 1898), reverendo-professore-matematico del Christ Church College per ventisei anni, dal 1855 al 1881.
In Lewis Carroll, Une vie, del 1974, tradotto e pubblicato in Italia da Bompiani nel 1980, con il titolo Lewis Carroll, vita e arte del “doppio” di Ch. L. Dodgson, Jean Gattegno delinea con ammirevole maestria le figure di entrambi i personaggi. Ed è indubbio che sono proprio la completezza e i dettagli con i quali descrive quelle due “vite” che rafforzano il convincimento che Carroll sia solo il “doppio” di Dodgson e non altri, per quanto sia lo stesso J. Gattegno, per altra via, a non darlo per scontato.
Nel libro, e in modo specifico nel capitolo “Matematica”, Gattegno spiega chi è il matematico Charles Lutwidge Dodgson, il professore che per tutto il tempo del suo insegnamento al Christ ha posto il suo talento matematico al servizio della pedagogia, scrivendo per gli studenti manuali, glossari, libri di esercizi, giochi mnemonici, ecc.. Gattegno ne elenca e commenta le opere, a partire dalla prima che compare con la firma Charles Lutwidge Dodgson: Manuale di geometria piana algebrica. Il libro è del 1860 e l’intento lo si direbbe, in accordo alle tendenze dell’epoca, fusionista, nel senso di voler legare geometria e algebra, ovvero spiegare le proposizioni euclidee con l’algebra, senza però sacrificare le figure geometriche.
È questa l’opera con la quale ha inizio la carriera pubblica del matematico Dodgson. Seguono varie altre opere sempre incentrate sull’insegnamento di Euclide e nel 1864 una Guida dello studente in matematica e nel 1867 Elementary Theory of Determinants, l’opera per la quale è citato in qualche libro di Storia della Matematica, ad esempio in Bourbaki e in Morris Kline. È del 1879 però l’opera che gli dà una notorietà immediata, anche se, tutto sommato, del tutto effimera: Euclid and his Modern Rivals.
Fino ad allora le produzioni di Carroll e di Dodgson si erano sviluppate su binari separati, il letterario e il matematico, ma ora c’è un’invasione di campo: Euclid and his Modern Rivals ha una forma teatrale.
Una formula decisamente originale: un processo agli Inferi, con Minosse e Radamante che giudicano gli antieuclidei spedendone ben dodici, con i loro manuali, all’Inferno della Matematica. Dodgson è consapevole di portare scombussolamento fra i matematici e spiega la sua scelta in un “Prologo” cui premette il verso oraziano: Ridentem dicere verum! Quid vetat?
Dodgson spiega che la forma teatrale gli è parsa più adatta a: esporre in maniera alternata le argomentazioni delle due parti in campo; avere la possibilità di trattare l’argomento “in uno stile più leggero di quanto non richieda un saggio”; renderlo accessibile ai lettori non specializzati per non annoiarli. Dodgson persegue così una divulgazione intelligente, umoristica, che coltiva sempre di più dopo aver cessato l’attività d’insegnamento che una millenaria quanto irragionevole tradizione vincola ad uno stile comunicativo freddo e solenne.
Dodgson è consapevole però del rischio che corre:
«Alcuni amici comprensivi mi hanno messo in guardia contro il destino che mi aspetta; hanno profetizzato che, abbandonando così la dignità propria dello scrittore scientifico, mi alienerò le simpatie di tutti i veri lettori di scienza, per i quali questo libro sarà soltanto un semplice jeu d’esprit, privo di qualsiasi serio argomento. Ma bisogna anche rendersi conto che se da una parte incombe Scilla, dall’altra vi è la minaccia di Cariddi; e che, per il timore di venire letto soltanto come scrittore divertente, rischierei di non essere nemmeno letto. Per difendere la nobile causa che mi sta a cuore: la giustificazione del capolavoro di Euclide, io sono pronto a correre qualche rischio, e preferisco di gran lunga vedere che l’acquirente del mio libro lo legge davvero, sia pure sorridendo, anziché vederlo, profondamente convinto della serietà delle mie intenzioni, riporlo nello scaffale senza nemmeno averlo aperto».
Le produzioni dei due autori, l’uno e il suo doppio, terminano così di essere separate ed autonome.
Carroll e Dodgson invadono l’uno il campo dell’altro. E cessa la distinzione tra Carroll autore degli scritti letterari e Dodgson autore di quelli matematici e di didattica della matematica. Nel 1880, infatti, Lewis Carroll firma lavori a sfondo matematico. Su una rivista per signore (The Monthly Packet) comincia a pubblicare a puntate quello che poi diventerà, nell’edizione completa del 1885, Un racconto complicato. Carroll presenta l’opera ricalcando il Dodgson del Prologo all’Euclid and his Modern Rivals.
Chiarisce che il suo proposito è di introdurre in ogni nodo (parola che è un riferimento esplicito ad Alice) «come la medicina che si tenta con tanta abilità e così poco successo di dissimulare sotto la marmellata, uno o più problemi di matematica, di aritmetica, di algebra o di geometria secondo i casi, nella speranza di divertire, e forse di istruire, le gentili lettrici di questa rivista». Ad unire le due firme allora c’è l’intento divulgativo e didattico con interessi che si ampliano alla logica, ai giochi e passatempi, ai metodi di calcolo mentale e alla “matematica come occupazione vitale”.

Il sorriso del gatto del Cheshire
La matematica, così fortemente euclidea e formale degli anni del College, si trasforma, cambia volto: «essa era scienza, adesso diventa gioco».
Il passaggio dall’una all’altra è garantito dalla vocazione pedagogica e dal desiderio di comunicare. In effetti, tutto è collegato: nel 1881, ricordiamolo, Dodgson abbandona l’insegnamento, nel 1877 aveva scritto il primo Memoria Technica, piccolo gioco mnemotecnico in cui si fondono armoniosamente il gusto delle lettere e quello dei numeri. Nel 1888 esce la prima parte di Curiosa Mathematica; nel 1893 la seconda, che contiene una serie di “problemi sul guanciale”. È una trasformazione notevole, importante sotto il profilo della comunicazione e dell’insegnamento, che investe il modo stesso di guardare alla matematica il cui fine non è «né in sé stesso, né nella scienza, sia pure applicata», ma consiste in un oggetto totalmente esterno: dal momento che essa serve a incuriosire, a ragionare e anche a far passare il tempo.
La matematica è divenuta cioè “oggetto di curiosità” e “passatempo vitale”.
Questa dimensione vitale, scrive Gattegno, è quella cui si è prestata più raramente attenzione da parte dei biografi, mentre è il punto di arrivo di un processo di cambiamenti progressivi del ruolo preminente giocato nell’opera e nella vita di Dodgson dalla sua formazione matematica e soprattutto dalla sua infatuazione dei numeri, dal suo amore per i bambini e l’insegnamento. Il contributo di Carroll e del suo doppio alla didattica della matematica è innegabile in tutti i suoi aspetti: curiosità, gioco, passatempo vitale, stile e taglio divulgativo. Il tutto nel rispetto pieno della verità matematica, luce dell’umanità! Ridentem dicere verum! Quid vetat?
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