Matematica greca poi araba poi latina. La distruzione dei templi e delle biblioteche. Il falò della matematica greca.

Dal film Agorà
Nella storia del pensiero matematico gli Arabi occupano un posto di grande rilievo.
In tutti i manuali specifici si trova un capitolo, più o meno ampio, a loro dedicato. Un capitolo di matematica araba. In effetti più che matematica araba essa dovrebbe dirsi matematica in lingua araba. Gli Arabi lavorarono sulla matematica greca e ne tradussero le grandi opere. Così facendo l’hanno trasmessa ai posteri e fu questo il loro più grosso merito. Naturalmente vi hanno apportato anche nuovi e pregevoli risultati. In sintesi, però, l’algebra di cui gli Arabi sono ritenuti i progenitori contiene molto di quello che fu l’opera di Diofanto, ma l’Almagesto di Tolomeo non sarebbe tale se non ci fossero stati gli Arabi, anzi non se ne avrebbe compiuta memoria e così per altre opere come le coniche di Apollonio.
Il ragionamento della lingua vale anche per la matematica cosiddetta greca.
Non è certo autonoma come, almeno fino al XIX, è stato tramandato. La matematica non nasce certo con loro, con i Greci, ma le sue radici si perdono nelle terre della Mesopotamia e di Babilonia, dell’Egitto e della Fenicia.
La matematica che si dice greca occupa un intervallo storico superiore a quello di ogni altro impero.
Va all’incirca dal 600 a.C. al 600 d.C. e oltre. È, non vi è dubbio, matematica non greca, ma in lingua greca, perché è siriana, egiziana, tunisina, spagnola, mediterranea, greco-romana ed “europea” come la dirà Carl Boyer. Matematica greca è, dunque, pur esso un modo di dire che è improprio! Una conseguenza dell’effetto San Matteo: a chi ha sarà dato sempre di più, a chi non ha sarà tolto anche quel che ha! Dell’effetto San Matteo ne hanno pagato le conseguenze, più di altri, i Romani giudicati addirittura nemici della matematica perché non produssero opere di matematica nella loro lingua, il latino.
Dominavano l’intero Mediterraneo dalla metà del secondo secolo a.C. ma non avevano imposto né religione, né lingua.
D’altronde, perché impegnarsi in un lavoro di traduzione di termini matematici, non semplice come ha mostrato Biagio Scognamiglio, quando la lingua greca si prestava ad esprimerli con precisione e chiarezza? Erone, Tolomeo, Diofanto, Pappo, Proclo vissero in un mondo dominato politicamente da Roma, lavorarono in scuole istituite, mantenute e frequentate dai Romani, ma la loro è matematica greca: scrivono in greco.
Un grande merito, quello dei Romani, che il giudizio della storia ha cambiato in grosso demerito.
Una matematica latina però, c’è stata: non è esistita con l’impero Romano, ma, a meno di pochi e scarni tentativi. inizia con la sua fine. Inizia con Severino Boezio (480 – 524), patrizio romano, ma è un inizio sfuocato e anch’esso abbastanza isolato, che si perde nelle nebbie del Medioevo. Di lui rimangono poche cose, limitate a opere didattiche. Il libro d’algebra dell’arabo Mohammed ibn Musa Al-Khowârizmî è dell’830. La sua prima traduzione in latino è del XII secolo e dello stesso periodo, in latino, è l’opera dell’italiano Leonardo Fibonacci. Il latino come lingua della matematica occidentale e mondiale si impone cioè dal XII secolo e dura fino a Carl Friedrich Gauss (1777-1855), princeps mathematicorum ed ultimo tra i grandi a scrivere in latino.
La matematica, dunque, cessa di essere greca quando cessa di essere scritta in greco e comincia a essere scritta in arabo e poi in latino.
Tutti questi inizi non hanno una collocazione ben precisa sulla retta della storia sviluppandosi più che altro in intervalli temporali abbastanza ampi. Purtuttavia alcune date sono riportate dagli storici della matematica come particolarmente significative. Certamente il 529, quando l’imperatore d’Oriente Giustiniano chiuse tutte le scuole filosofiche greche, spingendo i maestri verso quelle terre come la Persia che saranno poi dominate dagli Arabi. E ancora il 392 e il 641 che segnano, rispettivamente, l’avvio e la conclusione della distruzione del patrimonio di pergamene e papiri delle grandi biblioteche come quella di Alessandria d’Egitto.
Scrive Morris Kline: “Il colpo finale ad Alessandria venne dato dalla conquista dell’Egitto da parte degli insorti musulmani nel 641 d.C.. I libri che ancora rimanevano vennero distrutti per il motivo enunciato da Omar, il conquistatore arabo: «O i libri contengono ciò che è nel Corano, e allora non è necessario leggerli, oppure contengono l’opposto di ciò che è nel Corano, e allora non dobbiamo leggerli». E così per sei mesi i bagni di Alessandria vennero riscaldati bruciando rotoli di pergamene.”
La perdita del patrimonio matematico contenuto in quei libri sarebbe stata irreparabile senza la mediazione linguistica degli Arabi. La matematica greca poté così sopravvivere e accrescere il suo mito grazie agli Arabi malgrado molte opere siano andate perdute per sempre come il libro VIII delle coniche di Apollonio.
L’altra data significativa, si è detto, è il 392.
L’imperatore Teodosio proscrisse le religioni pagane ordinando la distruzione dei templi greci. I libri greci venivano bruciati a migliaia. Nella distruzione del tempio di Serapide ad Alessandria si ritiene che siano stati bruciati non meno di 300.000 manoscritti e tanti testi scomparsi per sempre! Avvenimenti così tragici, un interrogativo lo fanno nascere, naturale, spontaneo.
E se i Romani avessero tradotto Apollonio e Archimede?
Se avessero portato a Roma la biblioteca di Pergamo che re Attalo III morendo nel 133 a.C. aveva donato alla repubblica romana? Certamente la Storia avrebbe imboccato tutt’altra strada! Certamente ne sapremmo di più di Archimede e di Apollonio. Marco Antonio non avrebbe potuto donare la biblioteca di Pergamo a Cleopatra e forse quei libri non sarebbero finiti nel grande falò ispirato dal vescovo Cirillo che il film Agorà del 2009 racconta insieme alla morte inflitta alla giovane Ipazia. Certamente però la matematica latina avrebbe avuto secoli e secoli in più di vita. Immaginare una Storia della matematica fondata sul “se” potrebbe essere stimolante anche se accanto ai guadagni occorrerebbe mettere in conto anche qualcosa che certamente si sarebbe perso!
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